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giovedì 9 giugno 2016

POESIA ITALIANA - ANTONIO SAGREDO

                                                             ANTONIO SAGREDO


 Canti del Bardo
 (necchia)                                

 dicembre  2005

 Quando, quando il tempo avrà luogo nell’eternità?

***


 Qui c’è una luce che  tentò di offuscare le tenebre
- un altro martirio che scantona  nei dettagli,
come nella neve la traccia di un calco, l’urgenza 
di un cammino  e un rifugio da celebrare senza fasti.


Non aveva mai compreso nel bene che lo testimoniava
perché era stato trafitto da folle
che non l’avevano amato mai.
Altri avevano reclamato, per me, una grazia plenaria:
un conferimento che come un dono
l’avrebbe sollevato da una materia oscura e disattesa.
Il  mistico pane lievitò una sorpresa irrazionale.


Simulava sul capezzale una sembianza che gli officianti
ornata avevano di melograni, letanie e incensi,
e cosparso ancora vivente e lucido sul corpo
il balsamo di una risurrezione non gradita.


Qui, nei momenti estremi l’interrogativo
discese dalle sfere come una mazzata,
 e decretò una risposta imperiale: mai la morte
dovrà essere un martirio accettato senza lotta!

                                                                                           Antonio Sagredo

Bardonecchia, 23 dicembre 2007

                                                                                                                   a   S. E.     J. Š.
Theotókos

Io per Te, Madre, sono l’infanzia di Dio!
Perché con la fede il corpo si disforma?
È un digiuno degli occhi  questa croce!
Sono gli occhi del digiuno questo calvario!

È da quando ero bambino che Ti consolo sul trono
(Eleusina, tutti i quadri e le icone lo testimoniano)
e ora mi costringi a scendere da questo legno!                                                                                                                                                                                         
Dovevi pensarci prima, Madre!
Una pietà di pietra non Ti  si  addice
da quando avevo il mio cuore così grande.

Da quale Roma fui tradito?
Tu hai la tua Sapientia, e io ho la mia!
Quale Sophia mi vuole conoscere nell’Universo?
Quale Eterno Femminino mi ha ingannato demente
dalle mie origini a un Giudizio che non ci sarà mai?!

Tu invano mi indichi l’altro prima di un incontro,
ma dal sentiero non hai sentito come scricchiola
la mia croce, come se fosse stata sempre la mia culla!
Tu hai la tua che ancora non s’invecchia e Ti consola:
ognuno non si rassegna alla sua, e sogna la Liberazione!

Perché dunque mi hai creato?
Tu che per me sei stata  l’increata!

Per questo, forse, i miei occhi hanno un digiuno di visioni!
Perché,  per la fede, il corpo si disforma?
Io, per Te, Madre, sono stato la memoria di Dio!

Antonio Sagredo
Bardonecchia,  25 dicembre  2007

Krisis

Ancora le Ceneri hanno generato i giorni della Pentecoste
da quando il Tempio fu consacrato ai mercanti delle tenebre
e questo fu un segno di un Dio in disarmo e distratto,
perché la sua delusione stimolò i saggi a giudizi  irrazionali,
come se avessero smarrito nei loro sensi una ragione squilibrata.

La bilancia del Giudizio impazza e non sa che la dismisura:
un destino è un oblio che il tempo traduce in farsa recidiva!
Non ho che una compassione da spargere nelle menti disattese:
per una qualsiasi risurrezione non ho  donato quel diniego
che m’è stato decretato… mai ho sofferto per un martirio artefatto!

Dove Tu hai condotto la tua fede, Tu,  il senza-fede!
Al divino crocicchio hai incontrato tre demoni!
Hai lottato per riaverti dalla terra! Ti sei incarnato -
prima della vita!  Dalla mia soglia ho scacciato le visioni:
avevo fame del concreto, non di paradisi o di mistiche ciarle!

Non ridere,  per me!



                                                                              Antonio Sagredo
Bardonecchia, 25-26 dicembre 2007
(notte fonda, gelida!)


Ti sei appassionato alle Misericordie,
ma non per questo devo esserti  grato.
La visione ha bisogno di tabule concrete,
l’energia che ho sciupato m’ha reso amaro!

Non ho dunque amato invano nessuna storia,
Io, che so le trame e gli intrighi delle Tue Scritture!
L’infelicità non appartiene al Mio delirio:
essere, non è un Mio problema, ma il Tuo!

Gli specchi sono umili e razionali come l’ulivo,
non quello dell’orto fatale che dietro le quinte
impaziente mescolava sangue e linfa, scambiando
le parole dei due attori, invertendo i loro destini. 

Il rancore che Io medito ha un suo alibi imperfetto:
anche la neve è una Immacolata che le tracce nasconde
di chi si tradusse sulla soglia senza testimoni.
Dopo la Fine – il Tutto e il Nulla saranno come prima!


                                                                                                 Antonio Sagredo

Bardonecchia,  26 dicembre 2007
(alba: sgocciolio della luce)


Cristo l’epicureo


Ne faceva di tutti i colori, davvero!
Scambiava perfino Sophia con Maddalena!
Non aveva credito se non con le maschere,
per questo Pierrot era suo intimo amico!

Per  vie sonnolente e nevose  giravano di notte,
mano nella mano, fra chiassetti e  vicoli,
- gelosia di Giovanni! - finché le rosse lanterne sfinivano
i sembianti… ma Colombina, l’ascosa, li rimproverava

con linguaggio da trivio in quella Bettola delle Ceneri,
perché l’ascesis  fosse più eretta nel sudario peloso 
delle notti… l’ultima scintilla fu spenta dal vino!
Sulle pareti pesci e leopardi nel Recinto delle Sofferenze.

Arlecchino rotava il randello come una fabula
e se lo rigirava a suo piacimento… Giudizio          
dell’ultimo giorno, dove sei? quando arrivi? - la data esatta
tradiva lo zelo eccessivo, come una condanna - l’attesa!

L’universo era stanco della sua fine annunciata:
voltò i tacchi e ricominciò paziente il suo dolce refrain.
Non aveva scelta, non voleva il ritorno dell’Eterno,
ma riconobbe il  suo pianto dalla luce - fra le tenebre!


                                                                                               Antonio Sagredo
Bardonecchia, 26 dicembre 2007
(pomeriggio plumbeo)

Ritorno dal martirio


1 – il boia

Non sapeva, lui, a quale santo volgersi, con chi trattare,
diceva: la qualità del supplizio distingue la vittima!
Mi domandò: quale tortura scegli?  E io: la più rapida e dolce.
Allora, per te va bene, la graticola di San Lorenzo!


2 – l’aspirante martire

Gli  dissi: sai, non sono rassegnato, affronto sereno
il martirio nel  nome di non so chi o che cosa.
Un lieve mio sorriso l’aveva ingannato. Allegri
ci scambiammo gli auguri a un futuro a rivederci.


3 - dopo il martirio

Non mi sento affatto sollevato… sono un po’ stanco.
Il boia ha pianto e io l’ho consolato con un bacino
sulle guance, aveva un cuore d’oro, ma in frantumi!
Aveva riso, prima della mia esecuzione!



                                                                              Antonio Sagredo
Bardonecchia, 27 dicembre  2007
(mattino solare)


Il teologo-idiota e Giuseppe Desa

Il colto idiota dal pulpito raccontava bellamente
che la carità è lo stato naturale dell’uomo,
torcendosi sulla philautía, come morso da una serpe!
Giuseppe lo guardava schifato e  con occhio asinesco.

Lui, succube di voli inconsueti, non voluti e non richiesti,
con preghiere, rosari e ceri accesi sugli altari,  attendeva
a un’assenza di teofania, come se la sua ignoranza nota
al mondo fosse  sparsa ovunque, come un peccato da imitare.

Per eccesso di carità lui volava così in alto che gli uccelli
chiesero aiuto a quell’idiota, perché una colta istanza al Principe
dei Martiri almeno un terrore generasse in quel cuore semplice
e mai turbato… ma era caro a tutti gli umili perché le sue mani

erano sporche di sterco di maiale: una fatica devastante
diffondere il verbo alle bestie di cortile! Il teologo è spaventato:
conosce la propria colpa, non la carnalità che combatte bellamente.
Fu un’estasi unica l’ultimo volo di Desa: ne fu gelosa - Santa Teresa!


                                                                                  Antonio Sagredo


Bardonecchia, 27  dicembre 2007
(crepuscolo)


Origine e destino dell’essere non è subire o creare visioni,
come se la volontà fosse un organo sognante della Conoscenza!
Recitavo un requiem ai concetti e alle teorie stralunate,
sapevo che la ragione illuminante è dove non è stata mai!

Non avevo che dinieghi, ricatti oscuri e perfidi misfatti
da raccontare a una folla che applaudiva solo la Menzogna!
Gorgonie e Chimere preparano un banchetto alla Saggezza:
non vogliono essere affamate di profezie e rancide ossessioni.

Portavo a spasso i miei sogni col guinzaglio di credenze certe,
ma Canidia, nella città dei morti, teneva a freno le sue lampade!
Disputavo con le luci antelucane per bandire o esiliare i tramonti,
quando per la mia via consolare vidi trascinarsi un finto martire.

Usava gli strumenti del suo supplizio come campanelli… slogan,
pubblicità spicciola… urlava: i roghi  sono soltanto cristiane leggende!
Ma noi, miei cari, sappiamo in quale chiaro millennio viviamo:
il  cortile dove la nostra vita impazza è segnato dalle nostre origini!    



                                                                                Antonio Sagredo


Bardonecchia,  28  dicembre 2007
(dentro le ore antelucane)


Nemesi

Ancora la maschera languiva per un assolo di archi nell’orchestra,
la viola d’amore affilava gli occhi di Giuditta prima del misfatto,
ma la scena, senza parole, generava astragali e gesti virtuali
perché l’attore  truccasse solo con gli sguardi il festino della sua rovina.

Non ci resta che recitare un calvario per sperare in una farsesca epifania,
la sue parole si sono aggrovigliate sulla lingua come una retorica antica.
Schiodati sono le fini e i principi su quel legno come una finta rivelazione,
non ho che da spartire e spargere la mia arte come sacramenti universali!

Sono giunto alla Stazione del Nulla dove i corvi beccano la mia apoteosi:
non ho voglia di altri succursali, mi basta un quadrante in fiamme per cantare!
Mi hanno applaudito come l’unico evangelo della scena… per la mia liturgia
si sono spellate le mani! -  per l’immacolato martirio della mia Voce! 

Ho spezzato le mie carni in divini gesti come gli atti degli apostoli,                     
le parole ho sminuzzato come ostie  per un rinascimento epicureo,
l’irregolare sostanza del mio delirio è pensiero e preghiera estrema.
La mia infanzia fu già un sacrificio di specchi, di maschere, e sembianti!

                                                                                                   Antonio Sagredo

Bardonecchia, 31 dicembre 2007
(ore quattro del suo ultimo mattino)


                                                                                                                               

                                                                                                                                 a    m. m.

                                                                                                         
Candelabri, che mi donate una vita in ascensione,
una farsa indegna è un canto peregrino
quando il corpo mi distilla un sangue recidivo.
Il sacro  scambio nel banchetto s’è mutato in eros!

Dagli altari sono sceso per offrire alla mia voce
quei gesti inconsueti di una mano destra già recisa.
Una pagana serenità  m’inquieta e mi affligge
se dalla scena mi giunge una buona novella.

Da tempo ho dimenticato la mia morte primigenia,
come una missione la fuga in una cella oscura,
ma il pellegrino nel mondo è un saltimbanco
che dal Regno di Como  lo spirito deforma.

Come un testo classico la sua ventura ha fine
sul ruvido calvario  di una giostra desolata.
Ma testimoni  pure una sola risurrezione la mia parola
e io sarò quella luce che tentò altrove quelle tenebre!



                                                                                     Antonio Sagredo

Bardonecchia, 31 dicembre 2007
( pomeriggio, all’ora terza)


11 commenti:

Mario M. Gabriele ha detto...

Da questo Report poetico, Sagredo nominandosi Bardo, assume il ruolo di un aedo che, invece di narrare eventi epici, si trasferisce nell’età moderna, immettendosi, con profonda analisi critica, negli oscuri meandri del divenire esistenziale, affrontando tutte quelle inspiegabili situazioni, che lasciano l’uomo all’interno di conflitti psicologici. Bardo, vuol dire anche ”intervallo”, ossia lo stato di attesa di un evento che si conclude, sostituito da un altro di diverso genere. E’ un tu per tu con i quesiti preesistenti all’origine. Allora ecco che dalla provvisorietà dell’attimo, sopraggiunge la pausa per essere riattivata subito dopo da altri eventi, sempre articolati e continui. La conciliazione non esiste. L’avventura ontologica e metafisica si fa cuneo che incide sulle dinamiche del presente e del passato, tra innocenza e maledizione, esorcismo del fenomeno filosoficamente non traducibile e risolvibile. Se questi sono i caratteri esfoliativi dell’inconscio, più articolato è il linguaggio poetico che li traduce. Un linguaggio che si pone al di sopra delle aree formalistiche di tanta poesia di oggi, che non riesce a dare un segno, una indicazione, una alternativa. Non è parola assoluta, ma personale, modernamente scissa dalla tradizione, e per questo motivo è isolata, quanto più si esprime nella scrittura propositiva e di contraccolpo al supermercato dei dire. Sagredo, pur restando nell'area dei poeti autentici, si distingue per la sua “macerazione” che è prova singolare di un Bardo, secondo un rapporto diretto con il lettore. E questi testi poetici ne sono una prova esemplare.

giorgio linguaglossa ha detto...

Mark Strand così si esprimeva in un articolo recente a proposito delle sorti della poesia: «se vogliamo dare un giudizio sul valore della poesia contemporanea, non dobbiamo basarci sui suoi esempi più deboli, così come non lo facciamo per quella del passato. Dovremmo tenere a mente che ogni epoca ha criticato la propria poesia, dicendo che non reggeva il confronto con le grandi opere dei secoli precedenti; chi si lamenta della poesia di oggi, quindi, non fa altro che portare avanti questo stesso rituale di accuse.
Non c'è ragione di credere che la poesia odierna sia in declino, che sia arrivata al capolinea e che sia ormai condannata al l'irrilevanza. Non so in Italia, ma negli Stati Uniti il numero di persone che scrivono poesie è più alto che mai, e questo nonostante il fatto che le distrazioni che ci allontanano da noi stessi siano oggi molto più numerose e potenti che non in passato. Ma forse è proprio questa la ragione della crescente popolarità della poesia: gli uomini vogliono ricordarsi chi sono, vogliono fare esperienza della poesia«
da Mark Strand - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/N5C7H

E c'è da crederlo in parola se ancora esistono poeti come Antonio Sagredo, di nascita salentino ma romano di formazione culturale e slavista, allievo di Ripellino e Carmelo Bene.
Nella poesia sagrediana c'è il barocco della Controriforma, i santi, le madonne, c'è Dio, ma è un dio derubricato e «distratto», un po' debole di memoria, che non sa più che pesci prendere; ci sono personaggi della Commedia dell'Arte come Pierrot, Arlecchino, e poi c'è il poeta, in carne ed ossa, c he imperversa nelle sue poesie di qua e di là in ogni dove e in nessun posto. L'universo sagrediano è irredimibile, inclassificabile, indecrittabile, anti ermeneutico,un posto scenico dove si recita a soggetto secondo un abbozzo di canovaccio. Sembra di assistere a uno di quei spettacoli da circo che ancora c'erano in Italia quando ero bambino dove saltimbanchi e trapezisti di terz'ordine si cimentavano in numeri equestri di dubbio gusto, con mangiatori di fuoco e cavallerizzi a cavallo di ronzini, un universo da circo equestre con tanto di preti che officiano liturgie barocche con incensi e suffumigi.
Antonio Sagredo è questo. Prendere o lasciare. Fumismo da baraccone e sublime ditirambico si alternano con lazzi plebei e citazioni di San Tommaso, un ossimoro vivente e un paradosso. Poeta inclassificabile per i poveri di spirito, poeta a tutto tondo per gli eletti dello spirito.

Mayoor ha detto...

Un dialogo senza tempo al cospetto di tutti i Padri della Chiesa – se non direttamente con Gesù – ad opera un angelo che, volando fuori dal coro, non si come sia andato a smarrirsi proprio da queste parti. Comunque l’effetto generale è quello di una corazzata che entri nel porto, un’immagine che Federico Fellini aveva appena sfiorato.
Dove è moderno è iper classico: non una scivolata sul linguaggio del volgo ( sempre che esista o ne esista uno soltanto). Ammirevole. Anche troppo quando sembra cercare gli applausi, ma ogni volta ci riesce. Basti questa strofa:
Ho spezzato le mie carni in divini gesti come gli atti degli apostoli,                     
le parole ho sminuzzato come ostie  per un rinascimento epicureo,
l’irregolare sostanza del mio delirio è pensiero e preghiera estrema.
La mia infanzia fu già un sacrificio di specchi, di maschere, e sembianti!
Moderno (per "irrazionale") nella metafora: Il  mistico pane lievitò una sorpresa irrazionale.
Metafore di questo spessore, oggi non se ne trovano. Ma qui siamo nel favoloso mondo di William Shakespeare...
Dove emerge grandemente è negli improvvisi scarti dal prevedibile, dal verso che altrimenti salmodierebbe; come qui, dopo “inconsueti”:
Dagli altari sono sceso per offrire alla mia voce / quei gesti inconsueti di una mano destra già recisa.

O qui, dopo “luogo”:
Quando, quando il tempo avrà luogo nell’eternità?

Non mi azzardo a tentare valutazioni critiche – oltre tutto non le so fare; Giorgio LInguaglossa ha già scritto sopra che "L'universo sagrediano è irredimibile, inclassificabile, indecrittabile...". Mi limito a constatare la presenza di un perno su cui può contare la poesia italiana che voglia edificarsi sul nulla che ha davanti.

Mayoor ha detto...

Sulla metafora, che qui sarebbe d'alta espressione: per Sagredo non deriva da similitudini ma da scarti di luogo e pensiero. Forse da qui le difficoltà del lettore, e l'eroico lavoro di AS nel contenere il proprio smarrimento. Battaglia vinta già da un po', da quanto leggo.

giorgio linguaglossa ha detto...

ECCELLENTE lUCIO, LA TUA DEFINIZIONE DELLA METAFORA SAGREDIANA CHE "non deriva da similitudini ma da scarti di luogo e pensiero". Che condivido. Sagredo lavora (un po' come fai tu) sugli scarti della Controriforma, del Barocco, di Rocco Barocco, della plebaglia poetante, della poesia nobile, dell'economia della stagnazione. Sa bene che l'ultimo linguaggio ecumenico e cosmologico della Controriforma fu il Barocco, e dopo di esso iniziò la persecuzione degli animi nobili e degli spiriti eletti. Sagredo pesca, come una sanguisuga, tra le spoglie dei cadaveri del Barocco, gli piace aggirarsi nei cimiteri salentini e dormire nel trullo della sua casetta nella campagna salentina. Direi che Sagredo è, stilisticamente, un trullista, se mi permettete il termine.

Unknown ha detto...

Di questa serie di poesie, una decina, che va sotto il titolo: Canti del Bardo (necchia), mi permetto di porre in evidenza la lunga successione di versi che terminano con la forma esclamativa e in minore misura quella interrogativa. Cominciò da quest'ultima:
Quando, quando il tempo avrà luogo nell’eternità?
Perché con la fede il corpo si disforma?
Quale Sophia mi vuole conoscere nell’Universo?
Da quale Roma fui tradito?
Perché dunque mi hai creato?
Quale Eterno Femminino mi ha ingannato demente
dalle mie origini a un Giudizio che non ci sarà mai?!
Giudizio dell’ultimo giorno, dove sei? quando arrivi?
Mi domandò:quale tortura scegli?

E' sorprendente notare come raccogliendo i versi dominati dagli interrogativi e ponendoli in sequenza la composizione che ne deriva acquista/ mantiene un forte senso anche simbolico.
Ed ora la estesa successione di forme esclamative:

...mai la morte
dovrà essere un martirio accettato senza lotta!
Io per Te, Madre, sono l’infanzia di Dio!
È un digiuno degli occhi  questa croce!
Sono gli occhi del digiuno questo calvario!
e ora mi costringi a scendere da questo legno!
Dovevi pensarci prima, Madre!
Tu hai la tua Sapientia, e io ho la mia!
Quale Eterno Femminino mi ha ingannato demente
dalle mie origini a un Giudizio che non ci sarà mai?!
scricchiola
la mia croce, come se fosse stata sempre la mia culla!
ognuno non si rassegna alla sua, e sogna la Liberazione!
Tu che per me sei stata  l’increata!
Per questo, forse, i miei occhi hanno un digiuno di visioni!
Io, per Te, Madre, sono stato la memoria di Dio!
un destino è un oblio che il tempo traduce in farsa recidiva!
… mai ho sofferto per un martirio artefatto!
Dove Tu hai condotto la tua fede, Tu,  il senza-fede!
Al divino crocicchio hai incontrato tre demoni!
Hai lottato per riaverti dalla terra! Ti sei incarnato -
prima della vita!
avevo fame del concreto, non di paradisi o di mistiche ciarle!
Non ridere, per me!
l’energia che ho sciupato m’ha reso amaro!
Io, che so le trame e gli intrighi delle Tue Scritture!
essere, non è un Mio problema, ma il Tuo!
Dopo la Fine – il Tutto e il Nulla saranno come prima!
Ne faceva di tutti i colori, davvero!
Scambiava perfino Sophia con Maddalena!
Non aveva credito se non con le maschere,
per questo Pierrot era suo intimo amico!
Per  vie sonnolente e nevose  giravano di notte,
mano nella mano, fra chiassetti e  vicoli,
- gelosia di Giovanni!
l’ultima scintilla fu spenta dal vino!
la data esatta
tradiva lo zelo eccessivo, come una condanna - l’attesa!
ma riconobbe il  suo pianto dalla luce - fra le tenebre!
la qualità del supplizio distingue la vittima!
E io: la più rapida e dolce.
Allora, per te va bene, la graticola di San Lorenzo!
…. aveva un cuore d’oro, ma in frantumi!
Aveva riso, prima della mia esecuzione!
torcendosi sulla philautía, come morso da una serpe!
una fatica devastante
diffondere il verbo alle bestie di cortile!

Ubaldo de Robertis (segue)

Unknown ha detto...

(Segue)

Fu un’estasi unica l’ultimo volo di Desa: ne fu gelosa - Santa Teresa!
come se la volontà fosse un organo sognante della Conoscenza!
sapevo che la ragione illuminante è dove non è stata mai!
da raccontare a una folla che applaudiva solo la Menzogna!
ma Canidia, nella città dei morti, teneva a freno le sue lampade!
pubblicità spicciola… urlava: i roghi  sono soltanto cristiane leggende!
Il cortile dove la nostra vita impazza è segnato dalle nostre origini!
non ho che da spartire e spargere la mia arte come sacramenti universali!
non ho voglia di altri succursali, mi basta un quadrante in fiamme per cantare!
Mi hanno applaudito come l’unico evangelo della scena… per la mia liturgia
si sono spellate le mani! -  per l’immacolato martirio della mia Voce! 
La mia infanzia fu già un sacrificio di specchi, di maschere, e sembianti!
Il sacro scambio nel banchetto s’è mutato in eros!
e io sarò quella luce che tentò altrove quelle tenebre!
Anche la lettura di questi versi da me“accostati” solo per il fatto che alla fine compare sempre il segno esclamativo, lascia di stucco tanto è convincente, affascinante e misteriosa. E mi chiedo perché il poeta Sagredo abbia fatto ricorso a tutti questi punti fermi. Se la funzione logico-sintattica di tali punti è quella di rendere più comprensibile la lettura.
E mi chiedo altresì, utilizzando il riferimento di Francesca Serafini in http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/cosi-una-virgola-salvo-la-nonnina.aspx come si sarebbe trovato uno come Perekladin, protagonista de: Il punto esclamativo di Cechov “Impiegato abile nel maneggiare punti e virgole che abbondano nelle sue scritture burocratiche, ma disarmato con il punto esclamativo di cui non conosce l’uso semplicemente perché nei suoi testi non rientrano le emozioni che il punto esclamativo racconta.”
A prescindere da codeste mie curiose elucubrazioni conseguenti all'arbitraria frammentazione che ho eseguito e che rischia di non approdare quasi a nulla, debbo rilevare la complessità della poesia di Antonio Sagredo tanto sul piano lessicale quanto su quello sintattico , il suo notevole spessore immaginativo, e intellettuale, e la volontà di aprirsi ad orizzonti geografici più ampi nel panorama della letteratura europea.
Ubaldo de Robertis

giorgio linguaglossa ha detto...

La decostruzione fatta da Ubaldo De Robertis delle poesie di Antonio Sagredo rivelano il segreto profondo delle composizioni, composizioni appunto di frammenti, interrogazioni metafisiche che si raddoppiano e si accavallano gli uni sulle altre creando un forte senso di sospensione e di aleatorietà. Del resto non c'è una stretta parentela tra le interiezioni esclamative e quelle interrogative? La poesia di Sagredo rivela questa ragnatela fitta di interconnessioni del suo universo simbolico-alchemico.

giorgio linguaglossa ha detto...

Però, una cosa: non condivido il titolo, mi sembra pleonastico quel gioco di parole bardo (necchia), è già stato fatto. Dovresti cambiare il titolo Io ti suggerirei: "Poesie della Controriforma". E poi suggerirei di usare le virgolette «...» per rendere evidente quando a parlare sono i personaggi...

Antonio Sagredo ha detto...

A parte che non condivido alcun suggerimento su ciò che è stato "fatto" alcuni anni fa: il “gioco” di cui fa cenno il Linguaglossa non è affatto un gioco: sarebbe stato troppo semplice. Bardonecchia è una cittadina cattolica come tante in Piemonte, e come in Italia, e del peggiore cattolicesimo! Il gioco che io feci mi venne spontaneo ripetendomi più volte la parola bardonecchia (ero in Bardonecchia per sciare) senza pensare affatto che fosse la denominazione di una località; e fu come una illuminazione lo spezzare questa parola (la frantumazione tanto di voga in alcuni blog) in due; e mi dissi :"ma guarda in po', possiede -spezzata - la parola “bardo”! e che non si merita affatto questa località! Bardo /necchia è quindi il risultato e e pensai di approfittarne; ed è come un cuneo che si infila nel mondo stesso di questo cattolicesimo retrivo - che di cristianesimo non ha nulla, essendo discriminante e intollerante verso il “prossimo” che vogliono redimere (retaggio del gesuitismo, e peggio della lotta fra due ordini che sono reciprocamente insofferenti: il salesiano e il gesuita - che tra l'altro si combattono per possedere il soglio pontificio!) - Dunque i versi di questi canti (compreso il titolo che dimezza sono innanzitutto uno sberleffo, un burlesque, un capovolgimento, che direi universale poi che interessa le altre due religioni monoteiste, e pure le altre religioni, specie orientali (che nella mia tesi del 1974-75 su un poeta simbolista ceco eclettico in fatto di religioni) che ci hanno regalato la “rassegnazione passiva o attiva secondo i casi loro”… i versi dunque di questi canti, ripeto, sono una risposta di quanto tragicamente ridicolo è il sacro che ci circonda, e ancora noi siamo le vittime! - e all’interno di questi versi scorrono dinamicamente le tematiche stravolte di un sacro (il sacro presunto in tutte le religioni!) che chiede ancora legittimità di esistenza, specie nelle nostre menti!... che come un corpus estraneo ancora ci rovina! Un poeta valente che noi dei blog conosciamo bene mi scrive:” …e ti giuro che da queste non riesco a trarre niente. Deve essere il contesto - la religiosità cristiana e i suoi miti - che non sono mai riuscito a digerire. Ho preferito non intervenire per non dire due baggianate senza senso”… ma qui non è soltanto questa “religiosità cristiana” a dominare, anzi non domina alcunché… si presta invece benissimo allo sberleffo dissacrante quanto più vuole essere – si presenta – come un ”serio sacro”! – D’altra parte persone come me sentono come cosa naturale prendere in giro tutte le religioni (non dico qualcosa di assolutamente nuovo, è ovvio) poi che le loro finalità sono molteplici… e iniziamo con l’ottundimento della ragione illuministica: loro principale nemico! E allora una delle maniere divertenti è quella del “gioco”. non nell’accezione linguaglossiana, non fine a se stesso, ma che invece si manifesta con la più alta e profonda gioia circense: BELLEZZA sempre combattuta. Bellezza atta a combattere non solo le religioni, ma anche le ideologie (come i clowns russi al tempo della Rivoluzione bolscevica che furono sterminati, e in parte sopravvissero perché poi fecero parte della macchina repressiva – mutando totalmente la loro natura!).

Anonimo ha detto...

La tensione interna propria delle poesie di Sagredo è la dissimulazione. Benché De Robertis dica, del suo aver accostato in sequenza i versi di Sagredo che terminano col punto di domanda e quelli col punto esclamativo, che sono “curiose elucubrazioni conseguenti all'arbitraria frammentazione che ho eseguito e che rischia di non approdare quasi a nulla” in realtà ha seguito la traccia, come un cane da tartufi, della verità soggettiva che Sagredo dichiara di sé, dissimulandola, come fa una analoga dissimulazione del proprio sentire drammatico la cultura barocca.
Infatti De Robertis riconosce “E' sorprendente notare come raccogliendo i versi dominati dagli interrogativi e ponendoli in sequenza la composizione che ne deriva acquista/mantiene un forte senso anche simbolico” e, di rinforzo, per quelli accostati che terminano col punto esclamativo: “Anche la lettura di questi versi da me“accostati” solo per il fatto che alla fine compare sempre il segno esclamativo, lascia di stucco tanto è convincente, affascinante e misteriosa”.
Dissimulazione e verità soggettiva, allora. Intanto i riferimenti a elementi dell'epoca controriformistica (e a Orazio) sono culturalmente precisi, il suo barocco non è di fantasia ma sue proprie conoscenze, in questo c'è Antonio Sagredo persona, non il Bardo, che infatti è almeno Bardonecchia, perchè è lì che ha scritto (ma poteva anche riferirsi a sé come “bardotto” o trovarsi a Bardolino, per ambiguare in quel “bardo” della scrittura la sua persona di Antonio Sagredo).
Un'altra istanza soggettiva e veritativa è la critica al cattolicesimo che poi chiarirà nell'autocommento essere “retrivo - che di cristianesimo non ha nulla, essendo discriminante e intollerante verso il “prossimo” che vogliono redimere (retaggio del gesuitismo, e peggio della lotta fra due ordini che sono reciprocamente insofferenti: il salesiano e il gesuita - che tra l'altro si combattono per possedere il soglio pontificio!)”.
Altri momenti di verità soggettiva sono nell'insistenza alla madre. Il nascere, la continuità della generazione, generazione quasi eterna (“Perché dunque mi hai creato?/Tu che per me sei stata l’increata!”) però al dolore all'infelicità: come non vedere in questo un nucleo radicale per il cristianesimo, nucleo che Sagredo fa suo in quanto lo riguarda nel suo essere nato e in vita? *
Così come, mi pare, si riconosce in Giuseppe Desa (Giuseppe da Copertino) che levita “schifato e con occhio asinesco/succube di voli inconsueti, non voluti e non richiesti”, attribuendosi un cuore semplice e mai turbato... e volava così in alto!, “un sacro (il sacro presunto in tutte le religioni!) che chiede ancora legittimità di esistenza, specie nelle nostre menti!”
Perchè “i versi dunque di questi canti, ripeto, sono una risposta di quanto tragicamente ridicolo è il sacro che ci circonda, e ancora noi siamo le vittime!”La scrittura di Sagredo è sì accumulativa, ma occorre seguire in diagonale, sotto le volute, i punti fermi del percorso. L'apparenza stordisce, come il falso, che dissimula confondendo le tracce.

* mi permetto di fare eco a Sagredo con questa breve poesia vicina all'argomento:
sporgersi incessante verso dio
e dio non sai chi è
se non mi basto io
e non sei tu - deserto come il mio
vuoto del cuore e pena
di schiavitù al legame alla catena
dell'amore del servo nel signore-
non sei tu come me da rispettare
nel signore il dio che ti somiglia
anzi mi è figlio e figlia