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domenica 24 luglio 2016

NEVE IN OTTOBRE - Mario M. Gabriele

Questa parte di racconto, viene pubblicata su L'isola dei poeti" ,e fa parte di un romanzo, in fase di ultimazione, il cui titolo "Neve in ottobre" si riporta ad un avvenimento realmente accaduto a sette chilometri da Firenze, che fu al centro delle cronache, per l'inizio di una serie di episodi strani, che culminarono con la caduta di una sostanza bianca dal cielo, attribuita a un fenomeno ufo.



Tutti noi abbiamo avuto un anno che ricordiamo per il resto della nostra vita. Un anno in cui fatti straordinari, o persone straordinarie hanno cambiato per sempre le nostre esistenze, come se quei fatti o quelle persone ci aspettassero al varco, consapevoli di un destino già scritto da qualcun altro.

L’anno che ha segnato una svolta, non solo nella mia vita, ma anche in quelle di alcuni uomini e donne di Antella, frazione di Bagno a Ripoli, a 7 km da Firenze, fu il 1954! Era l’anno in cui esplose il mito di Marlon Brando. Marilyn Monroe sposò Joe Di Maggio. De Sica lanciò Sofia Loren  nel film L’oro di Napoli. il Presidente Eisenhover pare incontrasse gli alieni in gran segreto nella base militare di Edwards, e la Fiorentina spadroneggiava in serie A.

Il 6 maggio, il giorno del mio compleanno, nonna Eliodora mi raccomandò di presentarmi al Bar  Larry Luna  alle 4 del pomeriggio. Mi attendeva la solita festa a sorpresa,  per modo di dire, dato, che ogni anno era identica alla precedente. C’erano proprio tutti.

Dal bancone, Michele mi sorrideva con i suoi dentoni d’oro e i suoi chili di troppo, mentre finiva di apporre sulla parete lo striscione: Buon compleanno. Intanto gli altri, alla spicciolata, cominciavano a farmi gli auguri. Prima, nonna Eliodora, sempre amorevole nei miei confronti. Poi le sue amiche, Teresa e Carmela: due signore così gentili, dai corpi esili, ma capaci di abbracci talmente vigorosi che non potevi fare a meno di chiederti dove trovassero tutta quella forza; e poi Bill e Tony, compagni di mille avventure, e ancora  la Sig.ra Mary con in braccio l’inseparabile barboncina Blake eyes,  ogni giorno sempre più somigliante alla padrona, Davide innamorato della Monroe e con l’idea fissa di voler essere come Marlon Brando, infine  Mike.

 In realtà Mike lo chiamavamo Louis, per la sua perfetta imitazione del grande Armstrong.  Rimase qui dopo che gli Americani passarono trionfanti per le vie della Toscana e si innamorò, non ricambiato, di Gina, minuta, ma dal viso grazioso. Persino Nicola, il brutto, si presentò. Era facile capire perché lo chiamassero così. Aveva un porro così grande, che non si capiva cosa iniziasse prima, l’escrescenza o la faccia.  Invece. l’unico a mancare, come ogni anno, era mio padre, così concentrato sul suo lavoro da avvocato che non aveva tempo per farmi gli auguri. L’unica vera novità era il televisore, il solo  presente in paese. Era un mobile con incastonato un cinescope circolare. Costò circa 250.000 lire: una cifra astronomica per l’epoca, se si pensa che una paga di operaio era di circa 40.000 lire al mese. Nessuno sapeva come Michele avesse potuto permettersi un investimento del genere.

In effetti si trattava proprio di un investimento, dato che il televisore incentivava la clientela e quindi le consumazioni. Allora non c’erano i blind pigs, con  marijuana  e whisky scozzese,  ma camomille allo zenzero e cioccolatini Perugina. Il locale si trasformava così in una vera e propria sala cinematografica con ordinate file di sedie per gli spettatori.
Per la prima volta vi entravano, senza imbarazzo, anche le donne, che iniziavano a seguire i primi consigli della pubblicità: dal rossetto, al profumo Paglieri, dalla saponetta Palmolive, allo shampoo e al dentifricio Durbans.

Ecco perché c’era più gente del previsto alla mia festa a sorpresa. Ma non mi importava. Era un modo come un altro per stare in compagnia. Il pomeriggio trascorse all’insegna di  divertimento e goliardie, fino a quando qualcuno entrò nel locale e disse in inglese: “What  are you doing?”Outside are the girls? Quella frase suscitò ansia e agitazione in tutti i maschi scapoli presenti, che fecero la fila davanti allo specchio per sistemarsi e apparire più belli, prima di lasciare il bar.

 Non avevo idea di chi giungesse in paese, ma seguii, come gli altri, il branco affamato, fino in strada. Da un vecchio autobus scesero alcune donne, scatenando curiosità nell’improvvisato comitato di benvenuto, prevalentemente maschile.   Si aprirono le portiere, scesero tre signorine dicendo di essere, le governanti del Conte Mineo. In seguito conobbi i loro nomi in un incontro casuale al bar. Non so perché, ma dopo molti anni, furono le protagoniste principali in  “Le amiche di Hamlet “e cioè: Laura, Helen  ed Elisabeth, venute dal New England, per un canto d’amore e di morte.

 Avevano fascino ed eleganza da vendere, e gli sguardi ipnotizzati degli uomini, che facevano a gara a chi dovesse portare loro i bagagli, Avevano occhi di tristezza e di smarrimento. Ma nessuno notò che dall’autobus stava per scendere una quarta persona. Una giovane ragazza, dai lunghi capelli castani e dagli occhi verde smeraldo. Bellissima. L’orchidea fra le orchidee. Si chiamava Linda, era la figlia di Laura. Appena la vidi, il mio sguardo mutò come quello del branco. Nonna Eliodora mi fece segno di prendere le valigie e con uno scatto felino, anticipando Francesco e Tony di un soffio, mi sacrificai a portare quel “pesante fardello”. Sono quei momenti in cui, un ragazzo comincia a sentirsi uomo, attimi di fierezza e orgoglio che, una frase fuori luogo di Teresa del tipo: bambino mio, metti il cappellino! Il sole picchia, basta a mandarli in frantumi. Avrei voluto sprofondare!

Mia Nonna le abbracciò, una ad una, come se le conoscesse da una vita. Disse loro di seguirle alla casa dei pini, circondata da alberi e tavolini. Sembrava un quadro dipinto a olio da Monet, per quanto era graziosa. La chiamavano la casina dei viaggiatori perché vi andavano ad alloggiare tutti coloro che non si sarebbero fermati troppo a lungo ad Antella: turisti amanti della campagna o gente che fuggiva da qualcosa.

All’interno le pareti erano verniciate a nuovo per cancellare l’ombra dei quadri a muro. Le stanze erano vuote di arredi, dove sempre qualcuno lasciava biglietti d’addio e metà della sua vita. Teresa e Carmela fecero un cenno agli altri e in meno di due ore la casa fu arredata di mobili e suppellettili. Anche io mi diedi da fare. Fu il compleanno più faticoso della mia vita, ma ne valse la pena. Vedere la bella Loris, anche lei venuta in quel giorno alla festa, era la più bella sorpresa.

La sera, a casa, Nonna Eliodora mi spiegò che le donne erano figlie di uno scrittore e commediante, amico di famiglia, che aveva trasmesso loro la passione per Shakespeare e per l’Amleto e che prima di approdare in America, girava per la Toscana mettendo su spettacoli teatrali. Si augurò che anche le figlie potessero regalare qualche momento di teatro in paese ma senza fare business.  Si unì a tavola anche mio padre. Avevo voglia di dirgli che mi era mancato, che cominciavo a sentirmi grande, ma lui mi aveva insegnato a tenere tutto dentro, lasciandomi solo libri e qualche consiglio. Così imparai a nascondere le cose per le quali è meglio tacere.

Amavo in silenzio Dolly e il suo cane Bubù. Ma come è difficile celare le strade del cuore! Mi fece gli auguri e mi regalò una tessera della biblioteca comunale di Firenze da cui avrei potuto arricchire la mia cultura e soddisfare la mia passione per la letteratura. Non aggiunse altro, regalandomi, prima di partire Spoon River. Più tardi, nella mia camera ero così preso dalla lettura che non  mi accorsi con ritardo del tono alto di voce fra mia Nonna e mio padre  Pur avvicinando l’orecchio alla parete non riuscii a capire di cosa stessero parlando. L’indomani passai e ripassai davanti alla casa dei pini con la mia bici, per vedere Candida anche solo un istante, ma non ebbi fortuna. Notai qualcuno salutarmi  dal “Grande vigile”, un vecchio albero con rami che sembravano braccia impegnate a dirigere il traffico.

Seduti ai sedili del Minnesota Club, Francesco e Tony mi facevano cenno di raggiungerli.  Stavano leggendo I Diari con Leucò  e le Poesie di disamore di Cesare Pavese. Li raggiunsi. Sfogliai alcune pagine e mi piacque molto il tono narrativo dell’autore.

Eravamo a pochi metri dalla finestra spalancata della camera da letto del secondo piano, all’interno della quale le donne provavano vestiti. Eravamo sicuri di non essere visti perché coperti dal fogliame. Ad un tratto vidi anche Candida con un sottile asciugamano a coprire il suo corpo.

 Il cuore cominciò a battermi all’impazzata e mi coprii gli occhi, ma solo per un istante, perché tornai a sbirciare furtivamente come quando ci intrufolavamo nel cinema fiorentino, per assistere senza pagare allo spettacolo proibito. Eh sì, perché quello che stavamo vedendo era proprio uno spettacolo! Mi esposi maggiormente per vedere meglio, ma Candida mi vide e mi sorrise.

 Proprio in quel momento Tony cadde dall’albero su paglia e scatole di legno causando un frastuono che destò l’attenzione delle donne. Come lepri in fuga scendemmo giù. Candida, che si era accorta di noi, si affacciò alla finestra, rassicurando la madre e le zie. Sono i soliti guardoni, disse. Le ore pomeridiane passarono lentamente tra i pettegolezzi di Nonna Eliodora e delle sue amiche, i sogni di Davide di diventare un attore del cinema, e gli impietosi sberleffi dei ragazzini nei confronti di Nicola, verso cui madre natura non era stata molto generosa erano diventati il punto centrale del giorno. Il Brutto era innamorato di una stellina del cinema.

Ebbe il suo indirizzo. Le scrisse innumerevoli lettere, con la speranza di ricevere prima o poi una risposta. Risposta che arrivò proprio quel giorno d’estate. Quando Tony, il figlio del  postino, gli consegnò la lettera, Nicola fece salti di gioia, di una felicità quasi isterica, come sempre incontrollate erano le sue emozioni. L’avvicinò al naso per sentire il profumo lasciato dalla sua amata, prima di ritirarsi in casa come il topo si rifugia nella sua tana dopo aver trovato del formaggio. L’attricetta non scrisse mai una lettera. I miei amici avevamo architettato una bravata solo per rompere la monotonia delle giornate. E non fu nemmeno difficile, dato che Nicola, non brillando nemmeno per intelligenza, non si accorse dell’assenza del timbro postale sulla lettera. Parole dolci, scritte da una mano femminile, la sorella di Tony, nostra complice, annunciavano a Nicola un fantomatico incontro, di lì a pochi giorni, al centro di Firenze, nei pressi del Bar delle Giubbe Rosse.

Nel pomeriggio  l’afa fu più clemente e ci offrì una tregua. Un fresco venticello soffiò in paese, venne a bussare alle nostre porte e ci invitò ad uscire. Adulti e bambini si riversarono per le vie fuggendo dal torpore dei loro alloggi. Risate, pettegolezzi, giochi subentrarono alla noia e alla sonnolenza del primo pomeriggio, fino a quando tutti fecero silenzio nello stesso istante. Ci meritiamo tutta questa arsura disse il barman mentre consegnava cinque drink ai palati più fini. Elegante, come a una serata di gala, col suo abito scuro, con una scatola di cioccolatini nella mano sinistra e un mazzo di gerani bicolore, rosa e verdi, nell’altra, Mike si dirigeva con passo deciso verso la casa di Gina.

La scena si ripeteva  ogni dieci del mese, da quando cioè nel 1950 conobbe Gina e se ne innamorò. Ma la donna, già sposata, attendeva il ritorno del marito dalla campagna di Russia, e forse già morto nelle campagne dell’Ucraina. Il corteggiamento la lusingava ma molte volte lo rifiutò.

 Tutti noi assistevamo silenziosi e col fiato sospeso, speranzosi che in quel rituale cambiasse finalmente qualcosa.  La porta si aprì. Mike, col suo forte accento americano, la invitò ad uscire. Gina, come sempre accettò i fiori, i suoi preferiti, e lasciando la porta aperta, si allontanò per porli in un vaso. Tornò dal suo corteggiatore, sorrise mestamente e abbassando lo sguardo disse,, di non poter accettare altro oltre ai gerani e con voce sottomessa, bisbigliò: Sorry|

Un furgone sostò davanti la casa del nostro vicino. Il professore Leonard stava scaricando decine di vasi con fiori e un cartone di libri e di lettere gialle. Nonna Eliodora mi comandò con lo sguardo e mi precipitai ad aiutarlo. Era in paese da poco, ma mai nessuno aveva scambiato con lui più di qualche parola. C’è chi diceva che fosse scostante, chi, avesse segreti da nascondere. La verità era che non amava parlare di sé. Inconciliabile con la realtà dei paesi in cui chiunque chiede di sapere tutto di tutti.  Mi spiegò che aveva fatto mille lavori, ma di non essere mai stato un insegnante. Forse era la sua aria distinta, magari il suo parlare con accento settentrionale o la sua barba grigia ad ingannare la gente. Mi disse che la cosa più bella dell’essere viandante è che nessuno sa niente di te ed è questo che rende tutto più interessante.

Mi confidò che sarebbe rimasto fino a quando gli antellesi avrebbero smesso di considerarlo un forestiero. Parlammo anche delle nuove arrivate e come due vecchi compagni di avventura ci ritrovammo a confessare l’un l’altro di avere un debole per una di loro. Il professore. era affascinato da Elena, che più di tutte aveva un marcato accento anglosassone.

 A me suggerì di farmi avanti con Candida prima che lo facesse qualcun altro. Dovevo superare la mia proverbiale timidezza, ma mi serviva un pretesto per farlo. Termiti! Chi l’avrebbe mai detto che gli insetti più odiati dall’uomo potessero divenire miei alleati! Avevano danneggiato porte e mobili della casa dei pini. Il professore si era offerto di aiutare le amiche di Hamlet e aveva chiesto a me di assisterlo. Le donne ci accolsero con sollievo. Dissero come se fossero davanti al confessionale di Padre Brown: “Da quando  siamo qui, andiamo dove meglio si brucia la sera e si sopporta tranquille un brandy o un caffè, sicure che da questo viaggio non ricaveremo un bel niente. Di certo non resteremo dai Beckett,  sognando le bianche scogliere delle contee.”

Mentre Elena mostrò al professore cassetti e scaffali, Laura mi chiese notizie di mio padre, con un interesse che pareva andare al di là della semplice curiosità. Io rimasi colpito dalle decine di libri sparsi a terra:: dal manoscritto di Van High alle quartine di Kaphéis, da Withmann a Burns, da Dante a Shakespeare e tante storie di spade e cavalieri e cartigli e orationes di chiostri e di cenobi. Ecco come passavano il tempo quando non uscivano per le strade del paese.

 Avevano la mia stessa passione per i libri. Dissi a Laura che un giorno avrebbe conservato gelosamente anche una mia opera fra quei capolavori. Lei, sorridendomi mi rispose di esserne certa. Era la prima persona a prendermi sul serio.  Elisabetta, la più magra, aprì il diario e lesse ad alta voce come in un reading  la Lauda di San Francesco. Fu interrotta da una visita imprevista. Un marine, Philip Marley, un  bluesman del Cleveland, prima di tornare in America, finita la guerra, volle lasciare un ricordo alle amiche di Hamlet, e cioè un bossolo di fucile Winchester: “Non ho altro addosso, disse, ma  ha un valore nel negozio Blue  Devil di mister Ray, che da anni raccoglie memories di bianchi e neri, prima della grande Crisi di Wall Street, salutandoci con un triste Goodbye.
Poi, il nuovo mondo che si era appena aperto, cambiò usi e costumi per un po di tempo.


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domenica 3 luglio 2016

POESIA ITALIANA - MARIO M. GABRIELE



MARIO M. GABRIELE

Pioggia d’estate come un rap per le strade.
Vetrine  di Bulgari e Gucci
e passi che inseguono la notte
sui marciapiedi di bidoni e falò,
tra  locandine di Brecht e dell’Angelo azzurro
che hanno inchiodato  i nostri sogni oh Marlene,
come i libri di Doblin lasciati sulla panchina,
ombrelli di carta di viaggiatori notturni,
quando  piove su Berlino
e neppure una colomba
riesce a imbiancare la sera
tra profumi d’Arabia e maghrebini spaesati,
che non hanno mai visto  Blade Runner al Babylon.

Ed eri con me sul treno che attraversava l’Europa
                                               di ponti e palazzi
e graffiti sui muri di Potsdamerplatz.