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domenica 18 marzo 2018

COMMENTO DI ANTONIO SAGREDO SU UNA POESIA DI KARASEK



Riportiamo un testo poetico di Krzysztof Karasek pubblicato su L’Ombra delle parole del 14 marzo 2018, tradotto da Paolo Statuti, con un pregevole commento critico di Antonio Sagredo dalle ampie aperture oggettive, anche in rapporto al altre tematiche di  autori come Gottfried Benn, e  di pittori come Gauguin.

Dalla lettera di Bertolt Brecht al figlio.

Quando la parola sangue è assente in un verso?
La parola sangue è assente in un verso quando il sangue
è sospeso in aria, quando diventa pioggia. Quando le vene
non lo reggono più nell’ardente involucro del corpo e lo
mettono in libertà e nel futuro.

La parola sangue è assente, quando il vero sangue si
riversa sulle strade, allora malvolentieri si parla di sangue,
la parola sangue scompare dalle enciclopedie e dai dizionari,
i manuali diventano più pallidi, i giornali si ammalano di
anemia, le pagine di storia scompaiono in circostanze
misteriose, la sintassi diventa oggetto di scherni;

la parola sangue diventa antiestetica, non risponde alle
necessità delle convenzioni e delle poetiche, del lessico
e della sintassi, non risponde alle “reali” esigenze della
lingua, mentre l’uomo qualunque non distingue più un fiore
da una ferita da sparo (si dice allora: i papaveri sono fioriti
nel tempo sbagliato – poiché è inverno – oppure:
il succo di pomodoro si è sparso sulla spiaggia di una città
litorale – perché finisce l’estate, e le acque del golfo
si sono tinte di rosso).

La parola sangue è assente, quando coloro che hanno fatto
versare il sangue, non parlano più di prezzo, ma soltanto
dei profitti ottenuti grazie a questo sangue.

Impara a seguire il seme del sangue nelle pagine dei manuali
di storia e di grammatica, nelle fessure tra le frasi di un verso
irregolare, nelle fessure tra le parole. Impara a leggere dalla
sua presenza e assenza le impronte delle ruote della storia.
Lo schianto delle ossa spezzate e il grido della frase torturata,
che si è iniettata di sangue.

(1982)

COMMENTO DI ANTONIO SAGREDO

Nella poesia tutta di Krzysztof Karasek  la presenza di erbari e di bestiari è frequente. Non certo il bestiario che  allude al gladiatore romano che combatteva contro le bestie feroci  o allo schiavo che le teneva in custodia. E se si dovesse stabilire una analogia con questi due ultimi significati allora bisogna riferirsi ai versi di Dalla lettera di Bertolt Brecht al figlio, siccome versi che grondano sangue umano-urbano  a tutto spiano dalle periferie ai centri di tutte le metropoli del mondo, e dunque bestiario umanoide, ma non umano! E se nei suoi versi invece di sangue si dice succo di pomodoro, come non pensare al succo di mirtillo del poeta russo Aleksandr Blok.

Oppure riferirsi  ai versi di Agli animali piace la guerra, dove uccelli, cavalli, una volpe, una talpa, una puzzola, un lupo, non certo impagliati, invece incappati sui cavalli di Frisia dei campi di battaglia si straziano per le ossa frantumate e sono straziati dalle sanguinanti ferite, insomma un mattatoio a cielo aperto! E qui il poeta si sofferma a descriverci le terribili condizioni fisiche di ciascuna bestia  e nella descrizione pare compiacersi, ma di mala voglia, alla maniera di Gottfried Benn -, quando questo poeta della anatomia espressionista, ci descrive di corpi umani stavolta orribilmente amputati, trasformando i grandi tedeschi, poeti e filosofi, in fantocci impazziti e superbi che sguazzano in un rosso, che non sai se sangue o altro intruglio.

Ma nei versi di E se essere un cavallo la presenza di una rosa sembra lenire le visioni crudemente fratte di una natura innaturata – ma è una rosa ponsò  non la rosa comune e banale, che profuma e ci concilia l’anima  qualche volto col corpo una rosa ponsò che sa di essenza di cimice se dobbiamo dar retta quanto è scritto in un antico libro del 700,  che  la rosa ponsò (rosa eglanteria  Linneo) esala un odore di cimice. I suoi fiori non raddopppiano intieramente; ha questa una varietà a fiori gialli. Questo arbusto si alza ai 12 in 15 piedi.

E allora il giallo-cavallo di Gauguin e il fulvo-cavallo dell’Apocalissi si mescolano  con la cimice e il suo odore (dobbiamo immaginarlo soltanto?) puzzolento e purulento da non essere più distinti nemmeno dall’odore della vodka e non hanno se non valore effimero gli occhi degli oggetti anch’essi confusi dall’orrido mescolamento, tanto che il poeta alla fine non può che esclamare. Ciò si chiama vivere non nel proprio corpo.  Inumanesimo raggiunto in pieno!

Questa condizione di un  vivere mescolato ma non assurdo più e non più distinto, che più non sappiamo se umana o di bestia,  il poeta lo ha visto da bambino, e la disumanità successiva alla guerra ne ha completato, amputandolo, di una  visione armonica, eppure il poeta dice : gioia!, fino alla fine dello spasimo, come nella raccolta del 2015, La gioiosa conoscenza.

Bestiario, si, ma di creature che hanno smarrito la propria nobiltà, e si hanno: grilli, leopardi, farfalle con tre ali!  api, pesci, gatti, insetti, salamandre, lombrichi, grilli, sembrano farci dimenticare tutti gli autori, le località che il poeta cita per farci scordare di essere umani, e non il contrario!.

Il poeta vive l’illusione di un ritorno di un qualsiasi Rimbaud: un profeta amputato dai colori e dai suoni!

Non risulta difficile nei versi “Dalla vita degli insetti” di Krzysztof Karasek trovare un esatto riferimento alla celebre trilogia naturalistica del poeta e scrittore belga Maurice Maeterlinck, dedicata ai così detti insetti “sociali” : La vita delle api (1901), La vita delle termiti (1926), La vita delle formiche (1930); piace pensare, a me o a noi, che questi tre saggi siano il libro di cui recita:

Quando ero piccolo
andavo in biblioteca
e al libro restituito strappavo
l’ultima pagina
per lasciare spazio alla fantasia
di un lettore sconosciuto.


In questi tre stupendi studi naturalistici sugli insetti, nel comportamento di questi: ora meraviglioso, ora colmo delle più disparate crudeltà allo stato puro, ritroviamo il nostro comportamento che ostinatamente diciamo umano dando valenza univocamente positiva, ma non sappiamo ancora oggi dire se inumano, disumano o altro di terrifico… certo le guerre, dopo specie l’ultima, sono testimonianza di quanto di umano ci sia restato poco, se non nulla!