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venerdì 21 maggio 2010

POESIA ITALIANA
ADRIANO SPATOLA
(1941-1988)


Majakovskiiiiiiij

(repetitio)

mancano ancora nella composizione le digitali memorie
i presupposti marini i parziali giardini i liquidi impulsi
le catastrofi degli organismi in sospensione nell’universo
i cavalli castrati che perdono tempo nelle profonde caverne
sotto la luna ecchimotica che rotola sopra il biliardo
alle spalle degli animali braccati nello spettacolo esploso
degli animali braccati che scrivolano cauti nella materia


(peroratio)

ogni singola parola è stata una tempesta di gesti
l’albero che messo in moto si è strappato di dosso le foglie
la foglia che messa in moto si è strappata di dosso le dita
il dito che messo in moto si è strappato di dosso i cavalli
il cavallo che messo in moto si è strappato di dosso le unghie
ah la prognosi tattile ah la domestica peste
con un po’ di fervore ma il tutto invariabile per confermare
il tutto per confermare lei che ama con insistenza

(1969)
Adriano Spatola
da: Geiger (1971)

domenica 16 maggio 2010

POESIA FRANCESE
YVES BONNEFOI
(1923)


*

Si dice
che delle barche appaiano nel cielo
e che di alcune
la lunga catena dell’ancora può discendere
furtiva verso la nostra terra.
L’àncora cerca sui nostri prati, in mezzo agli alberi,
il luogo in cui appigliarsi,
ma subito un desiderio di lassù l’afferra,
la barca d’altronde non è di qui,
ha il suo orizzonte dentro un altro sogno.

Accade, tuttavia,
che l’ancora sia, diremmo, straordinariamente pesante,
e quasi trascini a terra gli alberi, piegandoli.
L’avrebbero vista attaccarsi alla porta di una chiesa,
sotto l’arcata in cui è cancellata la nostra speranza,
e qualcuno di quest’altro mondo ne discendesse,
goffamente, lungo la catena tesa, violenta,
per liberare il suo cielo dalla nostra notte.
Ah, che angoscia, quando lavorò contro la volta,
afferrando con le mani la sua strana spada, perchè bisogna
che qualcosa addestri in noi lo spirito
in questa traversata che la parola
tenta, senza sapere niente, verso un’altra riva?

Ives Bonnefoy
da La longue chaîne de l’ancre
traduzione di Blumy, pubblicata su VDBD




Yves Bonnefoy: «Descrivere l'orrore:questo è oggi il ruolo del poeta»
Il letterato francese al Salone del libro: «Petrarca e Leopardi i miei maestri, con l'Inferno di Dante ho imparato l'italiano» Cos'è la poesia? È dare alle parole la loro capacità di descrivere la pienezza delle cose, la loro luce, la loro vita e questo accade solo quando noi riusciamo a divenire un corpo unico con il luogo e l'istante della nostra esistenza. Per me è il modo di dare senso alla mia vita e questo significa che ho fede in lei, perché non vedo motivo di dubitare del fatto che la poesia riesca ad essere insieme verità e bellezza e di questo sono ogni giorno più convinto».

Stralcio dell'intervista di Renato Minore al poeta, apparsa sul sito Il Messaggero.it
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=102070&sez=HOME_SPETTACOLO&ssez=VETRINA

mercoledì 5 maggio 2010

POESIA RUSSA
MICHAIL N. AJZENBERG
(1948)

1
Un picchetto nell’acqua ferma.
La sera è sempre più verde.
Ma dov’è accaduto? E’ accaduto, ma dove?
Una pietra miliare nell’acqua ferma.
La riva non c’è, o è abbozzata soltanto
Nel cielo che dilegua, alla luna nuova,
dove il sole calava fino a poco fa:
si è impigliata là, sul fondo melmoso.
Non l’ho mai pescata: s’era impigliata.
2
E’ ancora presto, ma è così scuro
che non riesco a leggere neppure una riga.

Ma c’è pure, lo ricordo, un segno.
C’era o non c’è?

Non è mica stato il fischio del poliziotto a trapanarmi il cervello,
non è mica stato il capoccia a ficcarmi un timbro da scemo.

Com’è che qui attorno è così buio pesto?
Non si è certo disturbati da nessuno
se su questa panchina si sospira per due.

Si fa a pezzi, si disfa,
la luce che risponde.

Ma c’era pur stato un segno.
Vedo la vita, presa per paura,
imbavagliata dalla folla.
Ma c’era pur stato un suono!
Qualcuno soffre con te.

Vedi: la notte d’un tratto si ritira.
Vedi: è tutto disegnato.
“Qui sono stati Vòvik e Kostantin”.

Sappi, sono già stati qui.
Ricorda, non sei più solo.
Michail N. Ajzenberg
3
Solo quelle parole che potevo distinguere.
Solo quelle col timbro sono mie.
Tintinnano pesanti come spiccioli nel berretto.
E’ quanto resta di me, dimenticato da tutti.
Il marciapiede rintrona per le monete da cinque copechi
Ehi, guardate, ma chi sarà stato?

Non erano loro che cercavano nell’accostare al volto
il crepitio della membrana, la raucedine del telefono.
Non le aspettavo, non le avevo chiamate, non erano mie
quelle in cui vivevano gli invidiabili usignoli.

Il pavimento rintrona, il contatore nell’angolo ticchetta.
E’ la vita che ciarla a modo suo
(cinguettando negli angoli, parlando a sessanta candele),
e dice:” E’ il mio eterno rimbombo.
E ora ti vengo contro in un muro sonoro.

Vuoi trascorrere con me la festa della casa nuova?

Michail N. Ajzenberg
(da: Godovoj Cikl (autunno 1986 – autunno 1987)
(Ciclo d’un anno)
Traduzione di Gario Zappi, su Poetica, anno 1 n. 1 aprile 1989)

sabato 1 maggio 2010

POESIA SVEDESE
LARS GUSTAFSSON
(1936)



Vita


La vita scorre attraverso il mio tempo,
e io, un volto non rasato,
dove le rughe sono profonde, analizzo
le tracce.

Pensieri come bestiame,
avanzano sulla strada per bere,
estati perdute ritornano, ad una ad una,

profonda come il cielo viene la malinconia,
per la pianta di carice che fu,
e le nuvole che allora rotolavano più bianche,

eppure so che tutto è uguale,
che tutto è come allora e irraggiungibile;
perché sono al mondo,

e perché mi prende la malinconia?
E gli stessi lillà profumano come allora.
Credimi: c’è un’immutabile felicità.


Lars Gustafsson
Traduzione di Enrico Tiozzo Poesia n. 249 Maggio 2010. La poetica dell’archeologia cura di Enrico Tiozzo - Crocetti Editore 2010