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domenica 30 agosto 2015

POESIA ITALIANA

GIORGIO LINGUAGLOSSA
(1949)


Il gioco dell’ombra tra gli hangar. Balenano fasci di luci dai riflettori
posti sulla sommità delle torrette blindate.
Sulla terra battuta risuona il passo dell’oca dei soldati.
I gendarmi giocano al gioco delle tre carte.
Gli ufficiali puntano alla roulette: sul rosso, sul nero,
sul numero 33.
Giocano con le bambole, giocano con le murene,
accompagnano al pianoforte la bella Marlene
che canta il Lied della nostalgia e della morte.
In alto, le sette stelle dell’Orsa maggiore.
Beltegeuse è una stella nana e Enceladon è lontana
nel firmamento stellato.
Cogito è in viaggio su un treno blindato
sta scrivendo una cartolina ad Enceladon:
«Mia amata, il mio posto è qui».
Un pittore fiammingo dipinge la luna e una natura morta.
Un Signore salta dalla bandella di un polittico nella stanza del pittore.
Gira per la stanza, vuole prendere un po’ di aria fresca.
Non vuole più dipingere Annunciazioni o Madonne col bambino.
Anteprima: Un uomo in nero è accanto al letto di morte del poeta.
«Ospite sgradito! La tua fama da tempo s’è sparsa»,
scrive il poeta sul letto di morte.
Un gendarme cammina tra gli hangar, agita il frustino
in mezzo ad un nugolo di cani lupo. Abbaiano furiosi,
intuiscono gli ordini dell’aguzzino dal movimento del suo polso.
Interno di una locanda: dei balordi giocano a carte
ma la luce della finestra non li raggiunge.
Li sfiora e va altrove e la luna non c’è.
Benozzo Gozzoli alla corte degli Estensi dipinge
un cardellino sul ramo di corbezzolo
e fischia un motivo di Mozart,
sa che non c’è più tempo, deve affrettarsi,
il Beato Angelico lo ha chiamato a Roma,
«Per fare cosa?», si chiede Benozzo, «ancora affreschi,
polittici da altare, annunciazioni?».
Il treno carico di morti viventi è in corsa nella notte.
Inverno. È arrivato il grande freddo. Berlino.
Il lampionista spegne i lampioni lungo la Marketstrasse n. 7.
La polizia segreta bussa alla porta del Signor Cogito.
«Gutentag Herr Cogito».

da “Risposta al Signor Cogito” (inedito)

Giocavano a dadi con i meteci

Un angelo zoppo ci venne incontro
e disse, senza guardarci: "malediciamo il nome di Dio."
Eravamo incomprensibili. Stavano tutti al bar
a bere caffè, quando, a mia insaputa, cominciai a zoppicare.
Erano tutti zoppi gli avventori del bar e gobbi.
Avevamo la gotta e la gobba ci spuntava dalle spalle.
A quel tempo dall' Albero vennero i bastardi
con le risposte pronte e gonfiarono le vele
e gettarono le ancore.
lo fissavo il loro occhio di vetro ...
Giocavano a dadi con i meteci e a morra con gli iloti,
se la spassavano con le troiane,
ma anche quelle presero a zoppicare oscenamente.
A quel tempo facevo l'infiltrato e la spia,
passavo informazioni ai persiani in cambio di talleri d'oro
e poi riferivo ai bastardi le notizie sottratte
alle carovane di spezie e di porpora che attraversavano il deserto.
lo a quel tempo me la spassavo nella Suburra,
tiravo con l'arco al bersaglio e giocavo a morra con i bastardi.
Un angelo gobbo ci venne incontro
e disse, senza guardarci: "dimenticatevi il nome di Dio."

Per gentile concessione dell'autore

8 commenti:

Mario M. Gabriele ha detto...

Due testi di microracconti poetici che centralizzano una storia privata e collettiva di grande humus psicoestetico all'interno del quale si può benissimo parlare di poesia.(Mario M. Gabriele):

Anonimo ha detto...

Caro Blogger, grazie di avermi fatto conoscere questo poeta. Andrea Todini.

Mario M. Gabriele ha detto...

Grazie a te che hai avuto la sensibilità di captare un'aura poetica davvero importante. Te lo dico, perché Linguaglossa ha operato, su queste due poesie, un vero e proprio linguaggio ellittico e risolutivo, cancellando l'Expo della poesia tradizionale e afasica, rimuovendo il lirismo del dopoguerra, con le fantasie verbali dei poeti pulp,e postavanguardisti,Da qui il rifacimento di una nuova realtà con uno straordinario mutamento che non è soltanto frattura con la Tradizione, ma anche rimozione di un mondo risemantizzato con nuovi"strumenti umani". Mario M. Gabriele

giorgio linguaglossa ha detto...

Grazie a Mario Gabriele per aver ospitato queste due poesie la stesura delle quali marca una distanza temporale di 10 anni l'una dall'altra, la prima l'ho scritta nel 2014 mentre la seconda l'ho scritta nel 2005 e pubblicata nella plaquette LietoColle del 2006. Questo per dire che c'è stata una continuità tra il primo lavoro e l'ultimo ancora inedito su carta. Poi, in questi anni c'è stato l'aggravamento della Crisi del Paese e la Crisi della Ragione Narrante che mi ha motivato a spingere sull'acceleratore di una forma-poesia che riorientasse la poesia italiana del secondo Novecento. Ho dovuto prendere le distanze dalla poesia di "Satura" di Montale, il maggior poeta italiano del Novecento, per sterzare in un'altra direzione. Ho dovuto apprestare perciò uno strumento linguistico e stilistico e una metafisica, insomma, ho dovuto munirmi di una n uova ontologia estetica. È stata una ricerca che è durata 30 anni, perché sono dovuto partire da zero. O quasi. Ho dovuto inventare quasi di sana pianta uno stile modernistico e riallacciarmi alle sorgenti del Modernismo europeo. un lavoro gigantesco che dovrebbe essere visibile nella raccolta di prossima pubblicazione "Il tedio di Dio" che dovrebbe uscire con EdiLet di Roma.

Mario M. Gabriele ha detto...

In un mio precedente post, se ricordi bene, Giorgio, usavo per me il termine "speleologo",che molto si avvicina alla tua ricerca, formale e lessicale, fatta di contenuti,opzioni salutistiche intorno alla lingua e al progetto psicoideografico della realtà dopo Montale, asfissiando l'area poetica venutasi a saturare con il Gruppo 93,e della terza ondata, approdando con coraggio a una "rifondazione" della lingua in diversi capitoli estetici,che hanno aperto la lettura a nuovi canoni utili a giustificare il tuo "assedio" alla poesia minore,durato 30 anni di ricerca e perché no, di impegno ricostruttivo.La novità che intravedo, leggendo le tue poesie, è correlata ad un tuo umanesimo culturale che affonda le radici in più territori geografici. Ciò viene a determinare un "manifesto poetico" indicativo nel fare poesia.E su tutto questo io attendo l'uscita della tua prossima pubblicazione dal titolo:"Il tedio di Dio" Auguri.

glinguaglossa@gmail.com ha detto...

Nell'arte degli Anni Cinquanta avviene quello che è stato definito una «catastrofe», ovvero, l'incrocio tra diversi codici artistici che sfocerà in una libertà fino ad allora impensata. Un artista la cui opera è altamente significativa e densa di conseguenze per chi voglia intendere, è stata la musica e le riflessioni di John Cage il quale scrive: "l'arte è un modo di vita, come prendere l'autobus, cogliere fiori", affermazione che comporta l'abbandono del regno tradizionale dell'estetica e comporta una visione della vita come il regno del non-intenzionale. Nell'opera di Cage vengono recisi i legami con il linguaggio e la teoria musicale tradizionale: i suoni non sono più considerati un veicolo di significati tratti altrove, ad esempio da un testo poetico, e non sono più ordinati secondo un sistema prestabilito (armonico, tonale, atonale, dodecafonico) in cui incasellarli in una gerarchia di suoni. Tale pratica di non-intenzionalità rispetto al suono sollecita un gesto di sospensione autoriale. Il che comporta che i suoni accadano in quanto suoni al di fuori di qualsiasi pentagramma prestabilito.
Direi che questo assunto è utilissimo anche per quel che riguarda la procedura compositiva di una composizione poetica. Cage ci ha dimostrato che in musica è possibile trattare i suoni in questo modo. Analogamente, con le parole è possibile operare secondo un procedimento dinamico interno che si spinga fino alla impossibilità di giungere all'opera conchiusa; insomma, mediante una procedura che consenta di creare allo stesso modo con cui si crea l'universo in continua espansione. L'autore quindi si deve limitare a creare una struttura-cornice o un progetto-partitura entro i quali lasciare che gli eventi accadano. Le parole quindi vengono trattate come eventi. Le immagini e le metafore sono nient'altro che eventi. In tal senso la mia poesia può essere letta come una grande scacchiera dove avvengono eventi molteplici i quali creano a loro volta nuovi spazi interni entro i quali si inseriscono altri eventi che accadono in uno spazio-tempo in continua espansione. Con questa procedura si possono ottenere una miriade di spazi che si aprono all'interno di altri spazi, talché avviene che la distanza tra due o più spazi viene ad essere misurata dal tempo (dal tempo vissuto), quale categoria ontologica di seconda istanza.
È una procedura di nuovo conio, ma non lontana dalle procedure compositive di Mandel'stam che teorizzava e praticava una poesia basata sulla metafora tridimensionale; una procedura imparentata con la teoria degli equivalenti oggettivi di Eliot e con la teoria dell'imagismo di Pound. Per non parlare delle immagini in movimento di Tomas Tranströmer. Si tratta di uno sviluppo ulteriore degli assunti della poesia modernistica europea.

Mario M. Gabriele ha detto...

Il pensiero di Cage annulla la funzione musicale della poesia,una specie di "armonium" che ci ha accompagnato per lungo tempo, quintessenziando il pre e postermetismo (Soffici, Marinetti Sbarbaro, Onofri, Cardarelli e perché no, lo stesso Montale di "Le occasioni", per cui di fronte alla impossibilità di create nuovi stilemi e andando su altro versante quello della musica dodecafonica, figlia di Arnold Schomberg, teorico di un nuovo sistema musicale, per cui ripudiando il principio tradizionale di una tonalità centrale, si mettono invece i dodici suoni della scala cromatica su un piano di assoluta eguaglianza, ritenendone ognuno parimenti atto ad essere centro armonico e generatore di accordi. E qui sorge lo stesso tuo problema di fronte ad una poesia da rigenerare ex novo. Su questo passaggio la domanda che sorge spontanea è se dopo la dodecafonia è possibile andare oltre approdando as una nuova musica, ossia, inventare altri moduli compositivi? Su questo quesito, a suo tempo, rispose il Maestro Carlo Maria Giulin, il quale sulla base della sua esperienza negò altre soluzioni, asserendo che la musica può essere solo reinventata e reinterpretata così come avviene per le metafore che in poesia costituiscono "eventi", illuminazioni, dinamismo iperculturale e progetto, come fai tu.

Giorgio Linguaglossa ha detto...

In analogia con gli assunti della musica dodecafonica possiamo ammettere che le parole siano tutte eguali, che partano da uno statuto di eguaglianza per cui ciascuna parola può essere, assumere, il ruolo di centro di gravità (sonora e/o insonora) della composizione poetica. Il centro armonico generatore di accordi quindi può essere rivestito da qualsiasi parola, immagine, metafora, tutto su un piano di parità. Certo, questo assunto implica che l'autore si ritiri nell'ombra, che si situi in una zona fuori dal cono di luce della composizione, fuori visione. Concetto correlato con quello della impersonalità dell'arte moderna e dello svuotamento anche semantico che attinge le parole di oggi nella lingua di relazione e nei linguaggi poetici. Quello che non capiscono i poeti di modesta levatura è proprio questo punto. Impersonalità e disumanizzazione dell'arte implicano l'accettazione di una estetica del vuoto quale quadratura del cerchio (mi si passi l'ossimoro), come unica condizione possibile da cui partire e a cui ritornare.