GINO RAGO
(1950)
La donna innamorata non smette
mai d’amare
Ora Ecuba alza i lamenti.
Un corpo più non risponde ai comandi del cuore.
La sua mente. La vita in frantumi. L’anima.
Il fuoco. Sul destino di tutte le spose troiane.
Donne infelici . Né più capaci di canti di lotta.
Nascondono il pianto della Regina privata del trono.
Del talamo. Delle orazioni alle statue divine.
Noi siamo qui per Ecuba.
La ferma postura nel rapido
scarto
dell’aggressione. Dettata forse dal Fato.
Grida nel sangue l’ira di morte
dei vincitori.
*** ***
Tace la sposa di Priamo. Pestata
dalla dura sorte.
Noi siamo qui per Ecuba. Nella furia dell’onda.
Sulla nave travolta dai flutti. Nel
mare avverso.
Il remo vira d’un colpo la prua.
E’ la trama di Atena.
(La cavalla immortale. Puledra verginale.
Senza giogo per l’acheo esperto
d’inganni ).
Noi siamo qui con Ecuba. Sotto il
tragico peso
d’una condanna: essere schiava in casa di assassini.
*** ***
La donna innamorata non smette mai d’amare.
Ecuba è dritta nei marosi. Troppo lunga è la notte senza luna.
Ma i fari degli occhi fanno viva luce. Ecuba compete con le stelle
nella sventura ordita dagli
dèi.
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COMMENTO DI MARIO M. GABRIELE
Si è recentemente discusso su l’Ombra delle parole, il Blog di Giorgio Linguaglossa, sull’uso dei frammenti
in poesia, come alternativa al logos, ormai in fase di mineralizzazione. La
dialettica intorno a questo tema, ha portato ad un risultato contraddittorio
fra le parti dialoganti. Tuttavia, non è da escludere che la scrittura per
frammenti, possa essere una proposta valida. Il caso
in questione, è ripreso, con sorprendente vitalità da Gino Rago, che con il
testo:La donna innamorata non smette mai
di amare”, introduce la frammentazione con un sbocco naturale verso un
discorso tipo “stop and go”. Lo scorciamento avviene attraverso pause e ritmi sostenuti da un abile e rilevante flusso di
immagini, fatti ed eventi, tutti incasellati in un’unica cornice evocativa, che
danno l’imprimatur a questo testo, decisamente classico e moderno. La poesia, da
qualunque angolo la si pone, ha sempre rifrazioni che si Immettono nel circuito
sensoriale del lettore, il quale ha la chiave per entrare nel mistero di un
attimo, di una storia, o di una fenomenologia transitoria o permanente.
5 commenti:
Già Tynianov, negli anni Venti, affermava che il «vers libre diventa una specie di forma metrica "variabile"». In questa poesia di Gino Rago, abbiamo lo spezzettamento della regolarità sintattica in molti spezzoni; la regolarità sintattica è alla base della nascita del verso libero ma, allo stesso tempo, la poesia viene come dinamizzata dall'interno da un vettore che va avanti e indietro, stop and go, come rileva bene Mario Gabriele nella presentazione. Così avviene che il parallelismus membrorum influisce sul ritmo, lo rafforza e lo spezza. La poesia va a singhiozzo, si sente, si avverte il singhiozzo della poesia, il singhiozzo di Ecuba per i suoi lutti, il singhiozzo di tutte le spose che hanno perso i figli in guerra. A suo modo, è una poesia altamente impegnata, non poesia dell'io e sull'io ma poesia che parla dei lutti e degli olocausti dei nostri tempi.
Una ottima esemplificazione di una scrittura per frammenti.
caro Mario,
lascia che ti dica che davanti a questa tua poesia si resta sgomenti e confusi; sei andato oltre le migliori prospettive, voglio dire che questa è una poesia piena di echi e di tracce, di ombre letterarie, di fantasmi, direi, letterari, una poesia fatta di niente dove però c'è tutto, c'è una quantità indescrivibile di cose e di personaggi, dove le cose sono personaggi e i personaggi diventano toponimi. C'è davvero una gran confusione e c'è un bel daffare. Qui il critico non ha più nulla da dire perché ogni rigo rimanda ad una citazione, ed ogni citazione ad un mondo scomparso, ad una eco ma il tutto viene rifritto in un'altra padella: ombre, relitti, frantumi, spezzoni, tracce, tutto viene rimestato in un grande pentolone che non dice più nulla e dice tutto come solo è possibile dire, oggi, qualcosa che abbia senso, appunto dicendo qualche altra cosa che non si sa, nessuno sa, che cosa c'entri con la cosa precedente. E così la tua poesia procede come un sistema che deglutisca un anti sistema, una sorta di metodo omeopatico, decostruisce se stessa nel mentre che tenta di costruire qualcosa.
È una poesia che non ha più nulla da dire ai contemporanei per due ordini di motivi: 1) Perché tutto è stato detto; 2) Perché è impossibile dire qualcosa di nuovo. Però, paradossalmente, in questa situazione di estrema sterilità è oggi possibile ad un poeta che abbia del talento dire qualcosa di essenziale, qualcosa che non può essere evitata.
La tua poesia parla così, sempre sull'orlo di rinunciare a dire, e sempre dicendo qualcosa di incredibilmente essenziale.
PROBABILMENTE OGGI CHE ALLA POESIA NON è RICHIESTO PIU’ NULLA, forse proprio oggi alla poesia è posta la Interrogazione Fondamentale. Finalmente la poesia è libera, libera di non dire nulla o di dire ciò che è essenziale e inevitabile. Questo è molto semplice, è un pensiero intuitivo che tutti possono far proprio. Nel momento della sua chiusura clausura, la poesia si trova sorprendentemente libera, libera di porsi la Domanda Fondamentale, quella Domanda che per lunghi decenni nel corso del Novecento non si aveva l’urgenza e la necessità di porsi. La poesia, dunque, si trova davanti alla inevitabilità di dire ciò che è. E questa io credo che sia la più grande possibilità che il mondo moderno concede alla Poesia.
Esprimere nel modo più determinato e concreto l’inconscio che sta alle spalle del Pensiero pensato e non pensato dell’Occidente, il sottosuolo del sottosuolo che giace ancora più a fondo del sottosuolo costituito dal pensiero ordinario in cui ormai tutto viene pensato e vissuto dalla civiltà dell’Occidente.
Una poesia che si ponga l’ambizioso obiettivo di pensare l’impensato, le cose del sottosuolo more geometrico di un precedente more geometrico sotterraneo. Pensare la costruzione stilistica disabitata come la più consona ad essere abitata. Trarre dunque la forza dalla propria debolezza, mobilitare tutta la forza della visionarietà geometrica della poesia, questo è il compito che i poeti autentici oggi si trovano di fronte. E non è poco. Dobbiamo, per far questo, giungere a guardare alla poesia da un luogo ad essa esterno. E proprio questa paradossalità ci permette di seguire in ogni suo meandro il lungo percorso di un pensiero poetante che faccia di questo «tramonto» il luogo più abitabile.
Nell’inusitato e pregno testo drammatico di Gino Rago "La donna innamorata non smette mai di amare" la poesia riconduce all’atroce vicenda umana di una figura di donna a me molto cara, Ecuba. L’interpunzione frequente sembra volere riprodurre i singulti del pianto inconsolabile della sposa, della madre e della nonna, per l'immane tragedia che si è appena compiuta.
Ammiro molto e trovo quasi pittorica l'immagine della regina ritta a prua della nave che la conduce schiava; quasi una polena nel buio contro i marosi, mentre il fulgore dei suoi occhi e il bagliore dell'incendio di Troia gareggiano con lo sfavillio delle stelle; è come se Ecuba volesse sfidare, in un impeto disperato, il funesto destino.
Caro Gino, ho letto la il tuo bel testo che mi conferma ancora di più le mie convinzioni sulle novità del tuo discorso poetico. Questa frammentazione del dettato si innesta nel significante, nel ritmo, nelle vibrazioni drammatiche del testo...
Speriamo di poterci incontrare presto a qualche bella occasione letteraria!
Ho assai gradito le note critiche di Mario Gabriele, di Giorgio Linguaglossa, di Lucia Gaddo, di Letizia Leone su "La donna innamorata non smette mai d'amare", tratta dal poemetto inedito sul "Ciclo di Troia". Mario Gabriele, Giorgio Linguaglossa, Lucia Gaddo, Letizia Leone sono autori/autrici di versi importanti nella poesia contemporanea. Ma sono altresì interpreti colti e competenti degli altrui versi.
Ho sentito come prezioso privilegio la loro lettura della mia poesia, generosamente
ospitata sull'ottima Isola dei poeti. Grazie. Di cuore."
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