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martedì 16 agosto 2016

POESIA ITALIANA: Flavio Almerighi


FLAVIO ALMERIGHI
(1959)



Sei lezioni di recitazione


Occhiali da sole come sempre,
abitino fucsia e pelle d’oca
su cosce diversamente levigate.
La gente si muove soltanto
per poterti dire - cercami!
Dalle panchine i marziani,
unici soqquadri pericolosi,
coi pantaloni bagnati
guardano non si sa cosa.

Abituatevi a pensare
tipo - vivo sul fondo
di una ciotola di morenti
non - tanto a me non capiterà
oppure - prego lasciate prima
che si laureino i miei figli.
Un percussionista acustico
sottolinea discreto parole
di Ray LaMontagne, chitarra.

Copiare la realtà, farne l’autopsia
non è bellezza - certo fa caldo,
giusto per conversare
vista la malapolitica,
i campionati finiti
i prossimi lontani,
e nella calma, contratto in prova,
la barba cresce,
tacciono i ricordi di famiglia.

Mi sposerò presto, ma se gradite
il mio culo è un’acquasantiera,
molti morenti cercano
posti in piedi pur di restare fermi.
La cosa migliore
è inaugurare la stagione
cercando di azzeccare
il colore degli incisivi
dietro labbra ermetiche,
farci su la scommessa
vincerla.

In questo momento nidiate di attori,
fitte come cavallette in tour,
stanno osservando fondamenta
appena riportate in luce
di un’antica torre civica.
Fingono stupore – ma mioddio
pensavo fossero più in là,
ripetono all’unisono,
poi – passami un’acciuga.

Concludendo.
Il metodo Stanislavskij,
il tanto un tempo in voga
actors studio,
hanno confuso più di una troupe
a un punto tale da far sentire
protagonisti i figuranti, e poeti
gli analfabeti di ritorno.
Una colf sa lucidare il tramonto
molto meglio del poeta
che non sa dove torna.
Così deve essere.
Quando il mondo è un’ostrica
e tu tenero armadillo.



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