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lunedì 17 aprile 2017

POESIA ITALIANA: N.O.E. - NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA


DUE ESEMPI DI POESIA N.O.E. 

GIORGIO LINGUAGLOSSA

(da Risposta del Signor Cogito inedito, 2014)

Il corvo è entrato dalla finestra
Il corvo è entrato dalla finestra.
Una stanza. Atelier del pittore.
C’è solo l’ombra del pittore distesa sul pavimento.
Un cavalletto e una tela bianca.
Il pittore dipinge il mare e un sole livido.
Il sole prende vita dal quadro e se ne va.
Nel quadro è rimasto solo il mare.
Anche il mare se ne va.
E resta un abito in gessato bianco in una barca
che rema verso una proda.
Ma la stanza è vuota, il mare non c’è.
Il Campari rosso è nel calice di cristallo
che il Signor K. sorseggia.
[…]
Osservo il suo pomo di Adamo, che va su e giù.
Un’ombra bianca si guarda il volto nello specchio.
Nello specchio il calice del Campari. E l’ombra.
Ombre bianche escono dalla tromba delle scale
(al trentunesimo piano della Fifth avenue)
nascono dal cimitero chiamato terra
e vanno verso il mare. Si spogliano nude.
Entrano nel mare. Bevono il sonno a sazietà.
[…]
Le ombre nere bevono il sonno bianco.
Le ombre bianche bevono il sonno nero.
Il direttore d’orchestra ripiega le sue ali nere
dietro le spalle, e chiede al musicista:
«Suonate qualcosa, Signore?».
«Non c’è nessuno qui, sono tutti
morti». «Non posso suonare».
[…]
Finestre buie, Finestre nere. Porte buie. Porte nere.
Non c’è musica. Brusio di fondo.
Il musicista imbraccia l’archetto.
Il violino si avvicina al fuoco.
Tra poco dalla finestra entrerà il ghiaccio.
[…]
Bussano a una porta. La maniglia di ottone
gira con un flebile stridio: è il Signor K.
«Vostra Grazia…».
Il Campari si dirige verso le labbra del Signor K.
L’archetto cammina verso il violino
le mie dita corrono verso l’archetto.
Il fuoco incespica, s’impenna, li insegue,
tra poco li raggiungerà.
[…]
«Quale “capriccio”, Vostra Grazia?».
«Paganini, l’ultimo, il ventiquattresimo».
*
MARIO M. GABRIELE

(da L’erba di Stonehenge, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016)

La notte celò i morsi delle murene.
Tornarono le metafore e gli epistemi
e una folla “che mai avremmo creduto
che morte tanta ne avesse disfatta”:
Wolfgang, borgomastro di Dusseldorf,
Erich, falegname in Hamburg,
Ruth, vedova e madre di Ehud e di Sael,
Lothar e Hans, liutai.
Questa è la casa: -Guten Morgen, Mein Herr,
Guten Morgen-, disse Albert.
Qui curiamo le piante e le orchidee,
offriamo sandali e narghilè ai pellegrini
in cammino verso Santiago di Compostela.
Sui gradini dell’Iperfamila,
tra stampe di Kandinskij e barattoli di Warhol,
Moko Kainda sognava l’Africa di Mandela.
-“Doveva essere migliore degli altri
il nostro XX secolo”- scriveva Szymborska,
tanto che neppure Mss. Dorothy,
chiromante e astrologa,
riuscì a svelare le carte del futuro,
né Daisy si dolse del sole africano,
ma dei muri che chiudevano
le terre di Samuele e di Giuseppe.
E non era passato molto tempo
da quando Margaret e Jennifer
(che pure in vita dovevano essere
due anime perfette e pie),
volarono in cielo.
L’alba illuminava gli angoli bui, gli slums.
Era ottobre di canti e heineken
con la foto della Dietrich sul Der Spiegel.
Riapparve la luce,
ed era tuo il lampo sulle colline
bruciate dall’autunno.
Ma è malinconia, mammy,
quella che ha preso posto nella casa
dove neanche le preghiere ci danno più speranza.
Fuori ci sono il drugstore e il giardino degli anziani,
l’eucaliptus e il parco delle rimembranze,
la guardia medica per il tuo tremore Alzheimer.
Fra poco la neve coprirà il poggetto.
Ci sarà poco da raccontare
a chi rimane nella veglia,
dove c’è sempre qualcuno
che parla della lunga barba di Dio
come una cometa
nella notte più silente dell’anno,
quando il gufo da sopra il ramo

sbircia il futuro e vola via.

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