Giorgio Linguaglossa:
«La nostra petizione di una nuova ontologia è quindi la
petizione per una nuova polis, per nuove leggi e per nuovi cittadini»
*
Mario Gabriele, Registro di bordo, Edizioni Progetto
Cultura, Roma, 2020, pp. 152, E.12
Prefazione di Giorgio Linguaglossa
*
Lettura di Gino Rago
Scendiamo in medias res leggendo insieme questo polittico
in distici di Mario Gabiele tratto da Registro di bordo, Progetto Cultura,
Roma, 2020:
9
Sei rimasta come le foglie del bonsai.
Mi scrivi: – salutami Stella e le amiche di Parma. –
Esco di rado. Qualche volta mi fermo al Cabaret.
Riapre il Nasdaq di Londra con le start-up a 10 Buy.
Non lontana dai borghi
c’è la discarica delle stagioni.
Ci riserviamo le prognosi future
e le segrete stanze dell’illusione.
Rispuntano gli ologrammi.
Stasera ci fermiamo con i turisti by night.
Leggo e ripongo After Strange Gods
dopo una giornata di meteo invernale.
Qui prepariamo i bouquet
per i compleanni della famiglia.
– Signora, sono arrivati i tulipani. Glieli mando a casa
così nessuno potrà dire: per chi suona la campana! –
C’è sempre un tempo per nascere
e un tempo per morire.
A digiuno ci fermammo nella certosa
ricordando Debora e Barak.
La nostra amica americana si è sposata con la tristezza
da quando ha letto Day by Day.
*
“[…]Non lontana dai borghi
c’è la discarica delle stagioni[…]”.
e, poco più giù, nello stesso polittico, il lettore, già
tramortito dalla valanga di immagini-parole-metafore cinetiche che Mario
Gabriele crea e intreccia, con la maestria e la sapienza dei vecchi cestari, si
imbatte in un altro distico non meno spiazzante del primo
“[…] C’è sempre un tempo per nascere
e un tempo per morire […]”
Lo spaesamento dell’uomo d’occidente è totale: le
stagioni è possibile rinvenirle nella discarica e tra il “nascere” e il
“morire” del secondo distico manca ciò che si verifica o che dovrebbe
verificarsi tra le due polarità estreme del nascere e del morire: vivere,
semplicemente vivere.
C’è tutto, anche se mai viene nominato, ciò che non
riesco a dire diversamente “il dolore” dell’uomo d’Occidente nella gabbia
filiforme di una Europa ipermoderna cristallizzata in quello che Zygmunt Bauman
ha saputo indicare come il-tempo-di-mezzo, tra un «non più» non ancora concluso
e un «non ancòra» che stenta ad albeggiare; e il poeta d’avanguardia come Mario
Gabriele avverte la lacerazione tra «cosa» e «parola», lacerazione ribadita da
Giorgio Linguaglossa: « Tra la parola e la cosa si apre una distanza che il
tempo si incarica di ampliare e approfondire…»,
e rimangono le interferenze, le ibridizzazioni, le
immagini metaforiche, gli sparpagliamenti, le dissipazioni: una entropia di
linguaggi in un moto entropico perpetuo…
Per questo forse
“[…]Marisa riordinò gli arredi
lasciando al gatto Musumeci i residui di Gourmet[…]”
mentre in altra parte dello spirito d’Occidente, benché
ad altre latitudini e ad altre longitudini,
“La nostra amica americana si è sposata con la tristezza
da quando ha letto Day by Day.”
Il congedo qui si è fatto definitivo dai direi tòpoi di
tantissima nostra poesia, le discariche, i residui di Gourmet, il matrimonio
con la tristezza della sposa americana, le foglie del bonsai prendono il posto
definitivamente in un luogo poetico «altro», un luogo distante da quello delle
linee-luoghi comuni fiore-sole-cuore-luna-amore…
Qui lo spaesamento dell’uomo d’Occidente convoca altri
approdi, in questo Registro di bordo l’estraneazione richiede altre poetiche,
un’altra estetica, una altra morale, un’altra etica, qui siamo alla «poetica
della indignazione morale», alla «estetica della disperazione».
Ogni lettore «vede» in un componimento poetico ciò che
egli per cultura, per vastità di letture, per frequentazioni dell’altrui poesia
è in grado di vedere, basti pensare al Suonatore Jones di Edgar Lee Masters,
ri-adattato alle sue esigenze musicali da De André: in quel «vortice di
polvere» nel quale tutti vedevano i segni della siccità, lui soltanto, il
suonatore nella/della libertà vedeva in quello stesso vortice di polvere, in
quel forse mulinello di stracci, «la gonna di Jenny» in un ballo di tanti anni
fa…
Ciò per suggellare, fra le tante già a più riprese messe
lucidamente in evidenza da Giorgio Linguaglossa nella sua ermeneutica, una
cifra che poi è un punto di forza della lunga storia poetica di Mario Gabriele:
la libertà di interpretazione dei suoi testi poetici che
il poeta riconosce e lascia ai suoi lettori i quali così giocano, quasi sono
invitati o chiamati a giocare lungo la direttrice autore-poesia-lettore, un
ruolo non meno «creativo» di quello dello stesso autore.
E’ poesia che da Ritratto di Signora (2014) a Registro di
bordo(2020), passando per L’erba di Stonehenge (2016) e In viaggio con Godot (2017),
vuole un tête à tête con l’uomo cui Mario Gabriele si rivolge, una poesia che
con l’uomo del nostro tempo desidera stabilire rapporti diretti, senza
intermediari di nessun genere nei tre modi a noi noti della cognizione, modo
analitico, modo intuitivo, modo epifanico-rivelatore, tutti e tre compresenti
nella poesia di Mario Gabriele, in accordo pieno con la idea di “libro” di
Brodskij: «[…]Nella storia della nostra specie, nella storia dell’ homo
sapiens, il libro è un fenomeno antropologico analogo in sostanza alla
invenzione della ruota».
La poesia di Mario Gabriele vuole il tête à tête
poeta-uomo, rivendica il dialogo diretto autore-lettore, si muove all’interno
di quella petizione linguaglossiana «per una nuova polis, per nuove leggi, per
nuovi cittadini».
Su questo Giorgio Linguaglossa scrive: «La nostra
proposta di una nuova ontologia implica la petizione di una nuova idea del
tempo, dello spazio, della vita psichica, della vita erotica, dell’esistenza e
della storia, implica la petizione di una nuova esperienza del vivere e
dell’agire, qui e ora, nel tempo. Questa petizione di un ripensamento
categorico dei pilastri dell’ontologia, della filosofia, dell’etica e della
politica occidentali, implica e richiede un rivolgimento di tutti i nostri
sensi, del nostro modo di vita […]. Una nuova ontologia poetica richiede
fortemente una nuova forma di vita […]. Liberare la poesia è il primo passo per
liberare e rinnovare la nostra forma-di-vita. La nostra petizione di una nuova
ontologia è quindi la petizione per una nuova polis, per nuove leggi e per
nuovi cittadini».
Perché?
Perché la scrittura in versi per il poeta è un possente
acceleratore di coscienza, di pensiero, di comprensione dell’universo, per
ricordare ancora Brodskij, e se vale per il poeta, per Mario Gabriele la
scrittura in versi come catalizzatore di pensiero, coscienza e comprensione
deve valere anche per il lettore, nella casa comune della poesia.
*
(gino rago)
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