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sabato 7 novembre 2015

POESIA ITALIANA

ALBERTO MARIO MORICONI
(1920-2010)

IL CASO ALBERTO MARIO MORICONI
di Mario M. Gabriele

Di tutti i fatti e i misfatti compiuti nella lunga storia delle omissioni, tra i tanti nomi illustri o pochi noti, ricordiamo Testori, messo al bando più per la sua fede cristiana che per i suoi scritti, o ancora Sinisgalli, Bigongiari, Parronchi, Accrocca, Pierro, e quelli dell’area marxista presenti in La giovane poesia di Enrico Falqui, e i tanti polverizzati dal tempo, appartenenti alle varie generazioni: la quinta, la sesta, la settima ecc. tutti desaparecidos abbandonati nelle loro patrie regionali, o extraoceaniche e ai quali nessuna antologia o storia letteraria, si assumerà mai il compito di dare onore e giustizia.
Qui, tra i tanti esempi ricordiamo anche Alberto Mario Moriconi, mal tollerato nell’ambiente campano fatto di poeti bizzosi e individualisti.
Desiderando in questa sede superare il discorso di una eventuale linea napoletana, che non si addice al Nostro, per ragioni estetiche, tematiche, psicosoggettive e quant’altro, ci pare giusto collocare Moriconi (1920) nel diagramma delle voci metasperimentali, di carattere trovadorico, storico, aedico ecc.
In quest’area Egli si distingue per il vitalismo linguistico in cui l’ironia e il sarcasmo si associano ad un persistente stato di verifica dei dati presi in esame e provenienti da un protocollo poetico storico e contemporaneo, sottoposto a continue indagini e prelazioni di verità. Da qui l’uso del significante dalle diverse affinità culturali: un vero e proprio assemblage di tecnica letteraria e di coesione con i ritmi popolari e giullareschi, fino a trovare le ragioni di una poesia estetica ed etica, giocosa e malumorosa, che rimettono in gioco i segni del mondo e un pessimismo esistenziale come nel testo Fortuna del volume Decreto sui duelli, Laterza, 1982, /Caddi io, così; da zero al doppio / zero: versi che ci riportano al principio delle irreversibili conclusioni riduttive del nostro essere qui e ora.
Che sia questo un carteggio di un poeta con una visione umana del mondo, non ci sembra un’ipotesi azzardata, specie se andiamo ad esaminare il volume Dibattito su amore, Laterza (1969), che è un’appassionata esposizione di fatti ed eventi di cui il testo La tedesca al bosco calabro ne è un vivo esempio di speranza e sacrificio: un dilatare del sentimento come momento di sogno e di fede con ”gli occasionali eroi e le altrettanto occasionali vittime illustri e umili, innocenti e no, che sono chiamati dal poeta a testimoniare, o confessare, con lui, su altri punti, le solitudini, le viltà, le protervie, i furori dell’homo sapiens ormai onnisciente”. (Paolo Ruffilli Q/G. nn.37-38, luglio-agosto 1977, pag..57).
Su un piano generalmente epico si colloca Un Carico di mercurio, Laterza (1975); titolo di forte impatto ecologico, che non disdegna il senso di denuncia contro l’ambiente e il potere visti come soggetti primari nel testo Le inquinatore,pag.118, dove meglio si concentrano le forme del degrado. Tutto il volume è un autentico repertorio di occasioni poetiche millimetrate nella lunghezza della realtà in un procedimento verbale incisivo e autenticamente originale. Decreto sui duelli, Laterza (1982) è un ulteriore esempio e riconferma di una scrittura dal ritmo narrativo, dai diversi piani espressivi caratterizzati da commedia e tragedia, orrori e crudeltà storiche, con un suggestivo ricordo del sacrificio delle masse nomadi, come risulta nelle tre sezioni del testo dal titolo Nomadi, pag.7, anche se si tratta di storia datata, ma mai inattuale e sempre iscritta a futura memoria: ”convennero, compresse…./ in vagoni / piombati / ad Auschwitz, a Dachau… / Sempre cantarono, ballarono, incitavano, / fuori delle baracche, i bimbi, / malritti, scheletrici, / ai balli /, prima che in fumo migrassero al cielo”.
La poesia di Alberto Mario Moriconi può essere paragonata ad un diagramma supportato da un trend linguistico, che difficilmente trova assestamenti in basso verso una stasi cronica dell’azione verbale. Del tutto personale è l’attitudine ad attualizzare gli eventi esterni, attraverso l’uso reiterato degli attacchi ludico-satirico-epigrammatici, sfocianti nel più generale senso critico della riflessione morale, larvata o sottintesa. Sue ed uniche sono le frammentazioni sintattiche per accedere in diversi campi oggettivi e riportare allo scoperto temi e personaggi, sempre al centro di situazioni drammatiche in una fitta serie d’interventi stilistici, tra citazioni e allitterazioni, scambi plurilinguistici e reportages cronachistici, che vanno a caratterizzare i racconti poetici, correlati alla storia passata e a quella recente.
Ed è proprio questo il senso degli stili e dei generi letterari di Moriconi proposti in tutti questi anni, che gli hanno consentito di duellare con la poesia, con la punta dell’ironia sostanzialmente riflessa anche nel volume Il dente di Wels, Pironti (1995), che si apre ad una piccola Commedia umana, come Nella casa del Libro (Lamento a quattro voci), esposta a rappresentazioni postume, riguardanti il consuntivo della vita del poeta e il senso dello scrivere versi, il vano scrivere come dice lo stesso Moriconi: tutto un librosario da sradicare post mortem da parte dei sopravvissuti:“S’io morrò (Dio non voglia), appena fatto, / voi spianerete le costole /dei miei libri) ai vostri / muri, dico te, mòglietta, e figli; vi dite: / “Se, appena, costui sarà….ito / (oh possiamo parlarne senza scrupoli, / mica intendiamo eliminarlo, mica / l’avremo avvelenato, noi) – ne parlo! – diroccheremo quest’anomalia, che ci attanaglia / e soffoca, di casa nostra,/ sradicheremo il librosario / estirpo qui tu estirpa là”, ma è anche un messaggio di arte e vita, natura e storia, virtù e fortuna, come si legge in quarta di copertina.
Il volume affronta i fatti e i misfatti della Storia, tra inni goliardici, happening poetici e cronache di delitti eccellenti, che si vengono a realizzare all’interno di una poesia costituita da elementi espressivi diversi; gli stessi che troviamo in: Io, Rapagnetta Gabriel e altre sorti Pironti Editore (1999); assieme ad un piccolo album di ricordi di scrittori che rispondono ai nomi di Li-Po, Leopardi, Laforgue, Pindaro e Rimbaud, con l’autore medesimo, che con vario animo, tono e metro, li ricorda e si ricorda. (Nota editoriale). Esemplificando al massimo i giudizi espressi dalla critica sull’opera di Moriconi, riportiamo quello di Giuliano Manacorda apparso su Rinascita del 13 marzo 1970: “Non molti sono in Italia a coltivare, ad alto livello e come accento normale del proprio poetare, la poesia satirica. Moriconi lo fa con quel piglio sarcastico, con una tale imprevedibilità di sortite e una così ricca fusione di temi seri e del loro rovesciamento, da poter essere considerato forse un caso unico. In realtà, la definizione di poesia satirica, dice assai imperfettamente nei confronti della sua produzione, che è cosa assai complessa” .
Sulla poesia di Moriconi si può discutere a lungo circa l’uso dell’ironia di fronte agli orrori o alle cronache storico-sociali, ma non si può negare che in merito ad alcuni elementi seri, come per esempio la morte o l’ingiustizia, o ad altri temi di più ampio interesse, vi sia un forte sentimento umano che traspare più di quanto si pensi o si legga nei suoi volumi.
Moriconi ha posizionato la poesia su parametri linguistici che ci riportano ad un raffinatissimo aggancio con la letteratura popolare, i cui testi ci inducono a rimarcare un giudizio di Armando Maglione nella sua relazione sulla poesia a Napoli negli anni Quaranta, quando rileva già da allora, l’interesse di Moriconi per la realtà sociale, la cronaca e la storia, che animano quella sorta di “drammaturgia” poetica, moralmente risentita, e stilisticamente contaminata e trasgressiva che sarà la sua personalissima cifra confermata nel corso del tempo in tante short stories che sono libri di vita inseriti autonomamente nel complesso e variegato mondo della poesia italiana.



Alcuni testi di Alberto Mario Moriconi:

La mosca di Lindbergh

Si sa e si saprà sempre di Charles Lindbergh pilota
della prima trasvolata senza scalo dell’Atlantico:
quello che pochissimi sanno è che egli ebbe
a bordo del fragile monoposto – lo Spirit of St.
Louis – un’importante passeggera: dico una mosca.
.
La prima clandestina che trasvolò
New York-Paris, quella cosina,
il comandante se la scoprì, diciotto e quindici,
un bambinone
biondo, una brunettina,
che dal quadrante (mossa da fame?)
dell’altimetro, tutta un tremito
e minutina come è
un dittero,
lo affrontava! (mossa da fame?). Avesse
gridato, lui, e saltava… Gran Dio! Sotto,
le immense lingue e schiume d’azzannìo….
(lei tutto ignorava d’oceani, terrona del Kansas:
la forosetta, del Kansas).
Ma il bambinone
abbozzò,
la ignorò, trasse due sorsi dal termos.
La clandestina s’occultò.
“ E stia..”
il primo “ New York –Paris”
cartone e spago
-come una vecchia valigia –
e spirito di Saint Louis
“ Stia stia, Miss. Due alucce non guastano
in più, di riserva al mono-
plano, al mono-
posto, al mono-
motore: solo bi-
pala l’elica.
E or la brunetta bïala “
rise Charlie, cercandola: “Via via,
Miss, esca. E mi dica,
che, chi a Paris l’aspetta? A chi, beato, sì
graziosa e ardimentosa vola brunetta?”
soffia
soffia sull’acque,
spirito di Saint Louis,
cartone e spago
Or la compagna di Lindbergh dormiva
cinta di stelle, obliosa di tele
di ragno, che forse fuggiva
dal Kansas, da New.
E a lui, l’aquila
giovane, ancora ignara
di ragne, più truci, umane, (1)
un punto
lui solo di sangue e d’anima
sopra i notturni oceani,
ebrïetà
eterëa di stelle e sogni;
e il pulsar dei pistoni, docile faustamente
monotono, oramai
ammalïava, il remeggio fluidissimo,
a un puerile sonno…..
si riscoteva
picchiando a dritta
e a manca l’ala,
o evoluiva libellula
l’aquilotto
e canticchiava un’arietta di favola
western, di carovane.
Ventinov’ore, due sorsi al termos.
Ma pur le palpebre calano, Lindbergh s’assopisce.
Tre, forse cinque, minuti, o dieci, e il velivolo cala,
lenta la cloche, all’acque,
ma dolce cala
spirito di Saint Louis….
Guizzò, ella! via su!…
Rientrò:
lo picchiettò (vellicò) al naso: riaprì
gli occhi lui abbrancò
la cloche.
Digrignò
le schiumose mandibole l’Oceano.
E a dritta dell’aquilotto fiorì
un primo gabbïano,
e altri
e altri,
bianco di sé scriventi in cielo “WELCOME”.
“Ci siamo, darling,ci siamo, baby….
no, bébé, à Paris. Thanks – no, merci –
amica mia…ma come
ti chiami?… Laggiù! laggiù!
è Le Bourget, bébé !”
Trionfò
la bionda aquila degli oceani.
– Il nome,
però, almeno, della compagna….Sparì. –
Trionfò sonnolento su urla dal buio e su fiaccole:
lei vi sparì.
Chi sa se la mosca del Kansas
trovò chi cercava a Paris.
(da: Il dente di Wels, Pironti, 1995)
(1) Cinque anni dopo patì il rapimento e l’uccisione del figlioletto.

Fortuna

Gridar “Fortuna! ficca
un chiodo d’oro nella tua ruota” (1)
non potei, non la scorsi
neppure girar la ruota. Quando
godetti l’attimo
– vorticare
vorticare il suono
d’essa non colsi –
lo volli merito
mio: nessuna
bontà del Cielo, sull’idiota
nessun influsso
di luna
Cade così l’impero
a uno scettro ebro di sé, derisi
gli astri:
così l’Empire
all’ivre
Empereur, (2) all’impérieux
mépris.
Caddi io così : da zero al doppio
zero.
E ricaddi. E sempre,
col mio sprezzo, nel mio stazzo,
ancor non pago, sguazzo e annaspo credulo
in me, e che sia
virtù una cosa, e uscir dal brago stia
in me:
mai
mi son visto tuo ragazzo,
guercia.
(da: Decreto sui duelli, Laterza, 1982)
(1) Così un personaggio di Lope de Vega.
(2) Napoleone.

Piromani d’agosto
Nell’aria, un pianto…..d’una capinera
che cerca il nido che non troverà.
Zvanìi Pascoli “La quercia caduta”
Evoluivano pazzi fischiavano
intorno ai due alberelli fatti torce
nugoli insupponibili d’uccelli.
Allo sconvolto strido,
accorsi, d’alcuno di loro,
padre o madre a un nido, da ogni dove, al nido
arso e svanito.
Contro i vampanti e i fumanti crepiti uno stridio
crescente, un inaudito ora urlio, una frenetica
musica, una scomposta rabbïosa farandola
di ali e ali, quanti….
I due incendiarii
di più si ritraggono,
ma più eccitati, il perché si domandano
di tanta ressa e ridda ai lor falò: poi, no,
perplessi un po’….”turbati: non sospettano
il nido incenerito”. Che hanno fritto.
“Chi poco cuor sortì cuor non sospetta
in du’ alberelli”. Zitto, Zvanìi, ti prego. Hitchcock,
i tuoi, qui, uccelli i tuoi….!” (*)
(da: Il dente di Wels, Pironti, 1995)
(*) I terribili pennuti del film “The Birds”.

Alberto Mario Moriconi, nato a Terni, il 26 gennaio 1920, morto nel 2010. Penalista, poi docente di letteratura drammatica all’Accademia di Belle Arti di Napoli, collaboratore letterario di quotidiani e riviste per “Il Mattino” ha tenuto rubriche culturali. La sua opera poetica: Vortici, rupi, mammole, Gastaldi, 1952; Trittico fraterno, Milano, Ceschina, 1955; Anno mille, Padova, Rebellato1958; Le torri mobili, Parma, Guanda, 1963; Dibattito su amore, Bari, Laterza, 1969; Un carico di Mercurio, ivi, 1975; Decreto sui duelli, ivi, 1982; Il dente di Wels, Napoli, Pironti, 1995; Io, Rapagnetta Gabriel e altre sorti, ivi, 1999; Non salvo Atene, ivi, 2007. Sue poesie sono state tradotte in più lingue.

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