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lunedì 3 novembre 2008

POESIA IRLANDESE
John Montague


(1929)






La gabbia

Mio padre, l’uomo meno felice
ch’io abbia conosciuto. Il suo viso
serbava il pallore
di chi lavora sotto terra:
gli anni di Brooklyn perduti
a sentirsi scuotere il pavimento
dai treni del metrò.

Ma, irlandese tradizionale,
dimesso dal suo sportello
(dell’I.R.T. di Clark Street)
beveva whiskey liscio, finché
raggiunse l’unico elemento
in cui ormai si sentisse
a suo agire: oblio brutale.

Eppure si tirava in piedi
quasi tutte le mattine
per marciare giù per la strada
prodigando il suo sorriso
in ogni direzione al vicinato
buono (non negro)
al rintocco della chiesa di Santa Teresa.

Quando tornò
andammo a passeggiare insieme
nei campi di Garvaghry
per vedere il biancospino sulle siepi
estive, come se
non fosse mai partito,
era una curva della strada
che ancora custodiva
delle primule. Ma
non sorridemmo
nella condivisa complicità
di un sogno perché quando
lo stanco Odisseo ritorna
Telemaco deve andarsene.

Spesso quando scendo in una
Metropolitana, americana o inglese,
vedo la sua testa calva
dietro le sbarre della piccola edicola,
con il segno di un vecchio incidente
d’auto che gli pulsa
sulla fronte spettrale.
Johnn Montague
(Traduzione di Ottavio Di Fidio: da “Una luce eletta”, Poesia, anno III. N. 50, giugno 1990, Crocetti Editore)





THOMAS KINSELLA

(1920)

Assenzio

L’ho sognato ancora: improvvisamente fermo
Sto in una macchia, tra alberi umidi, attonito, minutamente
Tremante, e sento un’eco legnosa fuggire.

Il terreno muschioso, quasi incolore, scompare
Nelle piovose profondità tra le forme arboree.
Sono tutto teso ad assaporare quell’eco un secondo di più.

Familiare se solo riuscissi a trattenerla….se solo ci riuscissi…
Un albero neo dal doppio tronco- due alberi
Fusi in uno- innalza indistinti i suoi rami.

Crescendo in un’infinitesima danza i due tronchi
Si sono attorcigliati l’uno all’altro, connessi
In lenta voluta da una cicatrice….che riconosco….

Veloce un arco lampeggia fendendo l’aria,
Una pesante lama vola. Un colpo legnoso:
Ferro s’affonda nella polpa mozzandole il fiato.
Lo sognerò ancora.
Thomas Kinsella
(Traduzione di Riccardo Duranti, su Almanacco dello Specchio, n. 5, 1976, a cura di Marco Forti, Mondadori, 1976)


SAMUEL BECKETT

(1906-1989)



Sanies II
C’era un paese felice
L’American Bar
di Rue Mouffetard
c’erano delle uova rosse lì
il vapore la delizia il sorbetto
lo chagrin dei vecchi pelle e ossa
sgangherato corpo felice
perso nel mio vecchio vestito lurido
navigando barcollando su fino a Puvis il guantone di tulipano
frusta frustami con tulipani gialli mi tirerò giù
questi luridi vecchi pantaloni
il mio amore mi ha cucito vive le tasche vive-oh davvero disse meglio così
immacolato poi entro gli stracci marroni scivolando
verso l’affresco risalendo libero il fiordo di uova tinte e strisce di cuoio con
campanelli
sparisco pensate nel locale
i ruffiani giocano a bigliardo eccoli che gridano i punti
la Barfrau fa molta impressione col suo potente didietro
ci sono Dante e la beata Beatrice
prima della Vita Nuova
le palle cozzano scalogna amico
Gracieuse è la Belle-Belle giù nello scarico
Percinet stivalato colla mascella al cobalto
fanno giochi ingobbia-ingobbia
succhia succhiare non cambia nulla
L’Alighieri se n’é andato au revoir a tutto questo
crollo del tutto in una risatina di dispetto
sentite
sulla sala un terribile silenzio
un brivido sconvolge Madame de la Motte
si spande scomparsa giù lungo le sue fettine
il gran didietro schiumeggia e si calma
presto presto il cavalletto i i mollatori per il rito
vivas puellas mottui incurrrrsant boves
oh subito subito prima che rinvenga la gogna bambù per la bastonatura
una luna amara sculacciata alla moda
oh Becky smetti non ti ho fatto niente smettila maledetta
smettila mia buona Becky
metti via le tue vipere Becky, ti pagherò lo stesso
Signore abbi pietà di
Cristo abbi pietà di noi

Signore abbi pietà di noi
Samuel Beckett
(Antologia poeti stranieri, Arte Domus, 1989)




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