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lunedì 3 novembre 2008

ROBERT LOWELL
(1917 – 1977)


Alla mamma


Sono venuto una terza volta
a vivere nella tua Boston, austera e lussuosa,
ho quasi alzato il telefono per comporre il tuo numero,
dimenticando che non hai numero.
Il tuo umorismo esagitato,
l’opposto che all’inglese,
l’opposto di divertente per un figlio,
adesso è mio-
il tuo sangue scattante, la voglia di vita sul tuo viso,
la riluttante increspatura di dramma della voce.

Eri
Josephine Beauharmais, la femme militaire.

I gibbosi marciapiedi di mattoni di Harward
mi danno dei bei calci,
come se avessero il permesso dell’età,
persone che camminavano o inghiottivano a stento,
quando ero studente,
digrignano i denti arrabbiati come vecchi scoiattoli
con bende di capelli bianchi attorno alle orecchie.
Mi vedo cambiare nei cambiamenti dei miei amici –
possa io vivere più a lungo, ma non battere alcun primato.
Diventando noi stessi,
perdiamo il nostro sangue freddo per i bambini.

Una pianta scadente può ravvivare tutta una stanza –
Le tue non erano scadenti – bulbo, guaina, stelo seducente,
il giglio che alza la sua bandiera un momento
corrugandosi sulla ghiaia bianca di un vaso più bianco.
Il tuo salotto era un rimprovero. Vorrei essere là con te,
senza contare i minuti, ma non per sempre –
come tuo solito, sfioravi mensola e ringhiera
con l’indice d’un guanto immacolato in cerca di polvere.

“Perché continuiamo a aspettarci che la vita sia facile,
quando sappiamo che non lo sarà mai?”

Mi piaceva sentire scandali su di te. Molto veniva
dagli altri, le tue compagne di scuola, ora polvere anch’esse.

Mi ci è voluto il tempo da quando sei morta
per scoprire che sei umana come me…..
se io lo sono.
Robert Lowell

(Traduzione di Francesco Rognoni, su “Poesia”, anno XV, Gennaio 2002, n. 157)

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