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domenica 15 febbraio 2009

ALBUM di POESIA

FRANCESCO PETRARCA
(1304-1374)




Chiare fresche e dolci acque


Chiare fresche e dolci acque
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque,
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
erba e fior che la gonna
leggiadra ricoverse
con l'angelico seno;
aere sacro sereno
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino,
e 'l cielo in ciò s'adopra,
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
qualche grazia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l'alma al proprio albergo ignuda;
la morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo,
ché lo spirito lasso
non poria mai più riposato porto
né in più tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse
ch'a l'usato soggiorno
torni la fera bella e mansueta,
e là 'v'ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disiosa e lieta,
cercandomi; ed o pietà!
già terra infra le pietre
vedendo, Amor l'inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m'impetre,
e faccia forza al cielo
asciugandosi gli occhi col bel velo.
Da' be' rami scendea,
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo;
ed ella si sedea
umile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo;
qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito e perle
eran quel dì a vederle;
qual si posava in terra e qual su l'onde,
qual con un vago errore girando perea dir: "Qui regna Amore".
Quante volte diss'io
allor pien di spavento:
"Costei per fermo nacque in paradiso!".
Così carco d'oblio
il divin portamento
e 'l volto e le parole e'l dolce riso
m'aveano, e sì diviso
da l'imagine vera,
ch'i' dicea sospirando:
"Qui come venn'io o quando?"
credendo esser in ciel, non là dov'era.
Da indi in qua mi piace
quest'erba sì ch'altrove non ò pace.
Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco e gir infra la gente.

(da Letteratura di ieri e di oggi. Lumina editrice, 1960)

DANTE ALIGHIERI
(1265-1321)





Rime del tempo della Vita Nuova



Guido i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;


sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse 'l disio.


E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:


e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.

(da Letteratura di ieri e di oggi, Lumina Editrice, 1960)
CECCO ANGIOLIERI
(1260-1310)



S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo
S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, manderei
l' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.
(da Letteratura di ieri e di oggi, Lumina Editrice, 1960)
GUIDO CAVALCANTI
(1255-1300)



Perch'i' no spero di tornar giammai

Perch'i' no spero di tornar giammai,
Ballatetta, in Toscana,
va' tu, leggera e piana,
dritt' a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.


Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli' e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.


Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m'abbandona;
e senti come 'l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch'i' non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l'anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.


Deh, ballatetta mia, a la tu' amistate
quest anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu' ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se' presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d'Amore».


Tu, voce sbigottita e deboletta
ch'esci piangendo de lo cor dolente,
coll'anima e con questa ballatetta
va' ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim', e tu l'adora
sempre, nel su' valore.

(da Letteratura di ieri e di oggi, Lumina Editrice, 1960)

sabato 14 febbraio 2009

SAN FRANCESCO
1182 -1226

CANTICO di FRATE SOLE

Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude , la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullo homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucyr le tue creature,
specialmente messor lo frate sole,
lo qul’è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te , Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et belle.

Laudato si, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sostentamento.

Laudato si, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herha.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirminate et tribulatione.

Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
E serviateli cun grande humilitate
(da Letteratura di ieri e di oggi, Lumina Editrice, 1960)

venerdì 13 febbraio 2009

ANTOLOGIA PALATINA
SOGNI VALORI
Colei che ha messo a fuoco la città,
Stenelaide pezzo-da – novanta,
la puzza-oro a quelli che la vogliono,
un sogno me l’ha messa accanto nuda
tutta una notte fino alla dolce alba
a darsi senza farmi sganciar soldo.
Non più l’implorerò sulle ginocchia,
la barbara, né piango il mio destino
or che tal voluttà Sonno mi reca.
Anonimo )Meleagro?)

TOMBA SOLITARIA

Non ti dicevo, o Prodica,:”Invecchiamo”?
Non te lo pronunciavo a tutte l’ore:
“Cara, i dissolvitori dell’amore
verranno presto”? Ed eccole, le rughe,
le chiome bianche ed il corpo inciocito;
e la tua bocca non ha più le grazie
d’allora. Chi più adesso t’avvicina,
ti fa morire e prega più, già stella
d’orgogliosa beltà? Or ti passiamo
da presso come a tomba solitaria.
Rufino

IMPROPERIO

Così possa, Fraschetta, tu dormire
come fai dormir me sopra una soglia
ghiacciata, sì, così possa dormire,
perfida, come me, tuo spasimante,
mandi a dormire. Né pietà ti mosse
per me nessuna. Cuore hanno i vicini
per me, tu, nulla. Un dì la chioma bianca
ti farà ricordar la tua perfidia.
Callimaco

(Traduzione di Giuseppe Gualtieri, da Antologia Palatina-I libri dell’amore-.Vallecchi 1973)

sabato 7 febbraio 2009


CANTICO DEI CANTICI
Scena Quinta
La sposa
Dormivo, ma il mio cuore vigilava
(mi ascoltavo dormire).
Una voce! Era lui, era il mio diletto
che un po’ chiamava e un poco picchiettava.
Diceva- o era un sogno?- “Apriti, amica,
o Tuttabella, o colomba perfetta.
Rorida di rugiada è la mia testa
e i miei riccioli stillano
già di notturne gocciole”.
M’ero tolta la tunica….
(indossarmela ancora?),
m’ero lavato i piedi
(imbrattarmeli ancora?).
Quasi un gioco d’amore…. Il mio diletto
allungò una mano entro il forame,
e il mio seno balzò a quel contatto.
Mi levai per aprire al mio diletto:
le mani s’unguettarono di mirra
sparsa sulla maniglia.
Apersi al mio diletto,
ma il mio diletto era andato via.
La mia anima parve venir meno
perché era andato via….
Lo chiamai lungamente, e non rispose
perché era andato via…
M’imbattei nelle guardie
di ronda alla città;
mi strapparono il velo, mi percossero,
le guardie delle mura…
Io vi scongiuro, o figlie di Ierùsalem,
se incontrate il mio damo, dite, ditegli
che io muoio d’amore.
Il coro
Ma cos’ha il tuo diletto più degli altri,
o bellissima tra le belle donne,
perché tanto ne spasimi?
La sposa
Il mio diletto è bello e prosperoso,
distinto tra duemila, diecimila,
e la sua testa è oro, oro che brilla.
I suoi riccioli? Grappoli di palma,
nerissimi, corvini.
I suoi occhi come occhi di colombo
muovono rivi d’acqua,
specchiano cieli teneri:
e le sue guance sono come aiuole
di giunchiglie, di balsami.
Fatemi dire come son le labbra….
Due rose fresche e colte in paradiso.
E le sue mani? Mani fatte al tornio
cariche di topazi inanellati.
Il suo petto è abbagliante come avorio
cosparso di zaffiri,
e le gambe, colonne alabastrine
su piedistalli d’oro.
In quanto al portamento, è insigne come
il portamento dei cedri del Libano.
Ma la sua bocca è colma di rosolio,
bocca amabile, bocca deliziosa,
in lui tutto è delizia.
Questo è il diletto mio, l’amante mio,
o figliuole di Gerusalemme.
(Traduzione di Cesare Angelini ,Einaudi, 1973)
( Nota: Si credette un tempo che l’autore ne fosse Salomone, ma l’esame interno del libro ha indotto i biblisti (il Ricciotti, il Garofalo e il Galbiati, in capo a tutti), a riportarlo in epoca meno remota, verso il secolo IV a. C.; e l’attribuzione a Salomone. -Il Re Sole- pare inventata apposta per gettarvi sopra la splendente antichità di quei millenni)