MARIO M. GABRIELE
Il Decalogo è chiaro, il
Codice pure.
I convenuti furono chiamati all’appello.
Chiesero perché fossero
nel Tempio.
A sinistra del trono c’erano
angeli e guardie del corpo.
Solo il Verbo può
giudicare.
L’occhio si lega alla
terra.
Non ha altro appiglio se
non la rosa e la viola.
Un gendarme della RDT, lungo
la Friedrichstraße,
separava la pula dal
grano,
chiese a Franz se mai
avesse letto Il crepuscolo degli dei.
Fermo sul binario n. 1 stava
il rapido 777.
Pochi libri sul sedile.Il
viso di Marilyn sul Time.
-Quella punta così in
alto, che sembra la Torre Eiffel cos’è?-,
chiese un turista.
-E’ la mano del mondo
vicina all’indice di Dio-,rispose un abatino.
Allora, che salvi Barbara
Strong,
e il dottor Manson, l’abate
De Bernard,
e i morti per acqua e
solitudine,
e che non sia più sera e
notte finché durano gli anni,
e che ci sia una sola
primavera
di verdi boschi e alberi
profumati,
come in un trittico di
Bosch.
Ecco, ora anch’io vado perché
suona il campanaccio.
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Ci furono
mostre di calici sugli altari,
libri di Padre Armeno e di
Soledad,
e un concerto di
Rostropovic.
Usciti all’aperto prendemmo motorways. .
Nella terra di miti, dove
ci si scorda di nascere e di morire
c’erano cartelloni
pubblicitari e blubell.
A San Marco di
Castellabate
la stagione dei concerti era appena
cominciata.
Il palco all’aperto
aspettava il quintetto Gospel.
Si erano perse le tracce
del sassofonista del Middle West.
Il primo showman raccontò
la fuga d’amore di Greta con Stokowski.
Le passioni minime vennero
con gli umori di Medea,
di fronte alle arti visive
di Cornelis Esher.
Un relatore rimandò ad una nuova lettura
I Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez.
Quest’anno il postino non
suonerà più di tre volte.
Et c’est la nuit, Madame,
la Nuit!. Je le jure, sans ironie.
da In viaggio con Godot