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sabato 24 giugno 2017

POESIA ITALIANA: TESTO UNIFORME ALLA NOE


MARIO M. GABRIELE

La filosofia della religione e il razionalismo ateo hanno sempre destato vivaci scontri a partire dalla filosofia greca, passando per Tommaso d’Aquino con le Cinque Vie, fino a coinvolgere le moderne teorie sollevate dai vari Schrodinger ed Heisemberg.
La modernità dell’Essere dipende da come l’Uomo è visto nel Mondo: se creatura di Dio o del Nichilismo. L’Aufklarung si snocciola contro tutta la concezione fideistica, mentre la religione vivacizza  il giro del divenire che non è mai la condizione  del non Essere. Il disvelamento delle cose attraverso l’uso della ragione ha sottratto alla spiritualità il monopolio delle credenze, che altrove e in altri pulpiti ha una sua esposizione. Nella NOE, ossia nella Nuova Ontologia Estetica, la poesia si sottrae ad ogni illusione ed esercita una attività linguistica ed esistenziale molto diversa. Scrive Peter Atkins:”l’ateismo rappresenta il trionfo dell’Illuminismo su Micromega n. 7/2010 da pag. 3 a p. 15, con traduzione di Laura Franza: “Un ateismo attento al progresso scientifico rispetta  il potere dell’intelletto umano di lottare per conseguire nei modi opportuni la conoscenza. La scienza rispetta l’essere umano. La religione, malgrado le sue affermazioni  in senso contrario, le disprezza. Il compromesso, un accomodamento con la religione è una alleanza improponibile” E qui, in questo discorso di controversa dialettica, si innestano operatori del dissenso, avvocati d’ufficio, che tentano con i loro esiti propositivi, di far riconvertire i sostenitori del Nichilismo alla pura Spiritualità: una forzatura e attacco al libero pensiero, di autentica inciviltà culturale, che viola la libertà di espressione e di scelta etico-morale. (Mario M. Gabriele).

 Testo inedito di Mario M. Gabriele da: In viaggio con Godot.
…………………………
La cena fu come la voleva Lilly:
un tavolino con candele e fiori
e profumo Armani.
Le chiesi come stava Guglielmo.
-Di lui- disse, è rimasto un volume
e un segnalibro a pag. 21-.
Monika, più sobria dopo il lifting,
prese la mano di Beethoven
per un tour Vienna - Berlino.
Declinando il futuro di Essere e Avere
le gote di Miriam si fecero rosse.
Sui muri della U2
splendeva il museo di Auschwitz.
Averna era suggestiva con l’abito blu.
In un angolo giocatori d’azzardo
puntavano  sull'eclissi lunare.
-Allora, posso andare, Signora?-
disse la governante.
-Ho chiuso tutte le porte e le finestre.
Può stare tranquilla-.
Raccogliemmo  il riverbero di luce
nella stanza con profumo di violetta, e ligustro.
Una serata all'aperto, come clochard
e nessuna chiatta o pagaia alla riva
se non la fuga e il ritorno dopo il check-up.
E’ stata lunga l’attesa nell’Hospital day.
Il truccatore di morte
si è creata una Beautiful House
a pochi passi dal quartiere San Giovanni.
A Bilderberg  la povertà si arricchisce di nulla.
Tomasina rivede i conti
con le preghiere del sabato sera.
Un giorno verrà fuori chi ha voluto l’inganno.
Se metti mano all'album vedi solo ologrammi.
Un quadro di Basquiat al Sotheby's di Londra
ha dato luce all'Africa Art.

Bisogna rimetterla in piedi la statua caduta.



venerdì 9 giugno 2017

POESIA ITALIANA - LUCIO MAYOOR TOSI

LUCIO MAYOOR TOSI



Ecco un poeta, Lucio Mayoor Tosi che vi invito a leggere, e a conoscere anche se è già presente su http://mariomgabriele.altervista.org/, e sull'Ombra delle Parole, con testi  di evidente ricercatezza estetica e linguistica. Se ne trovano pochi, di questi autori e in queste stagioni di magro raccolto poetico. Qui desidero  riportare un esempio di poesia aperta  verso più orizzonti  che si fondono in un unicum narrativo a più ripiani segmentati dal frammento, secondo un discorso che lascia trasparire sottostanti momenti di riflessione  all'interno di una chiara esposizione psicoestetica.


Dow Jones

Il sempre presente sa battere a macchina.
La scrivania è piena di vecchi robot.
Giocattoli mai messi in ordine.
– Ci sono difetti strutturali nel linguaggio.
Si potrebbe dire che le parafrasi appartengano
tutte all’io. All’io bravo e all’incapace.
– Non vedo altro che cose intorno a me.
A tu per tu con il vuoto, dovendo affrontare
il comune pensiero di morte. Lunga pausa.
Interviene il biberon di un neonato sul pacchetto
delle sigarette. – Un fragile tentativo d’incanto,
amici miei cari barattoli.
Nei mercati finanziari sale il prezzo del pesce.
– Il vostro linguaggio mi sta mandando in confusione.
Urge modellare una poesia confidando nel tempo.
Tempo e luce. Primi passi di libertà:
L’atmosfera è un composto di tempo
La fine è annunciata, Dow Jones!

*
Senti-mentale

Oltre la siepe una fontanella di voci.
Non intorno, né sopra né sotto. Da qualche parte nella testa.
Verde fantasma di primavera. Vuota una brezza di vento.
Parole rigide come legnetti. Di seguito: volti che si girano
riflessi nel senza luce piccole ustioni. Impronte chiare
di palazzi persi abbandonati come piroscafi navigando
senza orizzonte. Luoghi di molte paure.
Alcune amiche.
Si fingeva di uscire.
Trepidanti.
Ombre di tutti i colori.
Fuori, in cortile sono stato per qualche minuto in compagnia
della bambina di due anni che abita nella casa di fronte.
Abbiamo comunicato a gesti. Ci siamo molto divertiti.
D’improvviso il buio si accende di limoni. Sorride il conducente.
Se ne va piano piano la luce.
Non vedo le carezze.
Mi si strangola dolcemente.

Ti bacio sul becco.

giovedì 1 giugno 2017

POESIA ITALIANA: UGO PISCOPO

UGO PISCOPO


Il surrealismo rimane nel fascino di molti poeti uno dei tanti modi di automatizzare la scrittura del sogno, superando il realismo stesso nel momento in cui appare insignificante il razionalismo dell’arte borghese, a favore di un linguaggio derivante dall’inconscio, tra istintività e automatismo verbale, come quelli espressi da Ugo Piscopo (1934), e consequenziali di un Io, diviso tra mondo patriarcale e mondo contemporaneo, nell’addensarsi di esperienze esistenziali e private, e di realtà socio-ambientali, d’autentica connotazione meridionale, come in Catalepta (1963), con i suoi andirivieni ermetico-neorealistici, a più ripiani poetici e convergenze figurative, o in — e — (1968), “ che non è la vocale di Rimbaud…ma la congiunzione di interrelazione, il continuo inceppo di tante parole….comunque, sempre una descrizione, quasi una storiografia, ma alla maniera dei cronisti medievali che raccoglievano tanta roba”, pag.5: tutta una commistione di inserti plurilinguistici, sigle pubblicitarie, note contabili, minime citazioni, passaggi dialettali e stilemi vari che spianano la strada al volume Jetteratura, Lacaita, Manduria, 1984: un repertorio poetico caratterizzato da collages, brevi inserti da tabloids, forme verbali evolutive e iperesometriche; in un canto a tenuta poematica armonizzato da un poeta del Sud, che sente a modo suo e drammaticamente, l’insoluta problematica dell’essere tra coscienza ed evanescenza, tra mondo rurale e mondo industriale, dove si incastonano spazi figurativi e psicologici di schietta trasmissione reale e memoriale: “Più sicuro sarei dietro il tronco materno di un pioppo /con la polpa buona per la madia bianca per il pane / e con la corteccia spaziosa a culla o piroga / Più felice sarei che all’ombra screpolata di quest’olmo antico / fra questo spreco di ricordi di cieli lagunari thomasmanniani / dove teneri riccioli dell’ora d’opale si versavano in latte / sulla traccia bianca del mattino “ (pag.21).
L’occasione poetica è spesso densa di sollecitazioni culturali di fronte ad una società irretita dai messaggi della civiltà dei consumi. Da qui la co-gestione di progetti verbali che vanno a misurarsi in stili e tematiche diverse: formando un piccolo avamposto di scrittura realizzata secondo le suggestioni di linguaggi multiculturali: tra estratti di prosa dei fratelli Grimm e di G. Anders: un libro certamente non provvisorio per via di quell’accumulazione timbrica che si fonde nella giusta coesione del rapporto poemetto-prosa, dove spesso la parola è oggetto di accentuata polimetria, e di pura manipolazione lessicale (consonantica, allitterativa), in cui la memoria, che è la parte più vitale e meno disgregatrice, si dipana linguisticamente in una vivace successione del “pensiero parlato”, vicina a tratti, al dinamismo presqu’automatique surrealista. (Luigi Fontanella, Poesia a Napoli negli anni Sessanta. Una Campionatura, La poesia a Napoli 1940-1987, pag.170). In effetti, e soprattutto in Jetteratura, più che nel volume Catalepta e in quello dal titolo — e —, si condensano variazioni tematiche che spaziano lungo le strade della nostra civiltà, tra ironia e sarcasmo: un vero e proprio materiale di genetica letteraria, attraverso un discorso che rivisita luoghi e culture diverse messi sotto esame e criticamente relazionati.
Di diverso approdo semantico è il volume Quaderno a Ulpia (la ragazza in mantello di cane), Alfredo Guida Editore 2002, che sembra distendersi su piani formali meno complessi che si uniscono in un unico discorso memoriale per la morte di Ulpia, docile cagnetta che rappresenta per il poeta il tacito legame di complicità tra uomo e bestia nella “pena di vivere” (Gennaro Savarese, Prefazione al volume Ulpia).
“Mistero” e “grazia figurata” sono invece i termini di una crittografia vegetale riportati nel recente volume Haiku del loglio (Guida, 2003), nel quale il Piscopo riesce a creare un sorprendente erbario da cui ricava correlazioni verbali d’illuminante rifrazione.
La campionatura poetica che presentiamo, è apparsa su Secondo Tempo — Libro Tredicesimo - Marcus Edizioni, Napoli 2001, ritenendo i testi un ulteriore passo in avanti della variegata transizione linguistica di Piscopo, il quale recupera alcuni incipit a cadenza tradizionale come”Torna a fiorir la rosa o la favola della parola” o “Volge al fin la sera del dì di festa” incastonati in una struttura lirica, accanto ad altri esiti con i paesaggi, desolati e maledetti e i tratti verbali metaforici “Cane è questo vecchio Sud “Cane nero dentro il vento che scroscia la furia / al crocevia che porta a Crotone”, tutti grafitati come supplemento di lettura e di proiezione dell’esistente.
All’attività di poeta e di narratore, il Piscopo ha fatto seguire interessanti contributi di critica letteraria e d’arte con i volumi Alberto Savinio (1973),Vittorio Pica. La protoavanguardia in Italia (1982), Futuristi a Napoli. Una mappa da riconoscere (1983), Diego Valeri (1985), Massimo Bontempelli. Per una letteratura dalle pareti lisce, (2001).

Fughe e silenzi germina la parola

Torna a fiorir la rosa o la favola della parola
mattutino risveglio della sera strazia in rossi barbagli
roride ombre disegna d’acque e di trinati capelvenere
controluce sulla bianca redola educata tra le aiuole

Ma noi noi tu e io in avaria alla gialla deriva
ci sconnette e arretra e assenta fuori campo oltre la scena
ombre vane che siamo d’un incarnato d’echi
non si sa dove soli soli eravamo e senza

Smarrita la donna in sé s’acciambella e fugge
strappato alla grazia il garbo di luna degli occhi
tanto può bellor di rosa il tuffo d’un bouquet
che irrompe a la chiusa imposta con un ramicel di fiori

In villa al crocevia dove arsi silenzi controvento
si dissolvono come in specchi labili postille
e illuse orme simulano indizi tracce intrighi
un frullo d’ali di cristallo marezza luci decembrine. (1990)

Compagnonnage

Volge al fin la sera del dì di festa
più lunghe l’ombre più sfuggente il canto
ho preso campo anch’io in Piazza Grande
solitario compagno di tenda
d’argonauta intento allo specchio del sogno
se mai la curva lossodromica cambiasse segno

Per conto suo d’un altro montagne di parole
scavai che fiorissero atolli nei mari del Sud
doveva svegliare il cane che dorme nel cerchio del Silenzio
cacciare gazzelle di suoni manguste dell’ombra che danza
aveva scelto ai dadi d’essere uno
ora è solo uno che essere poteva

L’ho visto essiccarsi in vitro fluorilucente
farsi geometria di rughe nel vento del tempo
per lui bracciante invano fui e giornaliero
voce che invoca cava dagli abissi
eco che tonfa in miniere abbandonate
e mette in fuga sciami d’anime morte
con le pupille roche e sabbiose dei diseredati (1991)

Stazione di Dugenta

Sei scattata stoppino scazonte
a un supposto richiamo
alto sulle pozze di pioggia
della stazione di Dugenta
che suona di carta d’argento
a offrire a chi
lo scopino d’una zampetta rattratta

Partito il treno t’ho lasciata
musino puntato a indagare
se un filo passi nonostante tutto
invisibile di seta che sale (1998)