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venerdì 14 ottobre 2011

POESIA INGLESE

JOHN KEATS
(1795 – 1821)


Ode all'usignolo
Il cuore mi duole, e un sonnolento torpore affligge
i miei sensi, come se della cicuta io abbia bevuto,
o vuotato un greve sonnifero fino alle fecce
or è solo un minuto, e verso Lete sia sprofondato:
non è per invidia della tua felice sorte,
ma per esser troppo felice nella tua felicità,
che tu, Driade degli alberi dalle ali leggere,
in un melodioso recinto
verde di faggi, e dalle ombre innumerevoli,
canti dell'estate agevolmente a gola piena.


Oh, per un sorso della vendemmia! che sia stato
rinfrescato per lungo tempo nella terra profondamente
sàpido di Flora e del rustico prato, [scavata,
di danza, e canzoni provenzali, e dell'assolata allegria!
Oh! per una coppa piena del tepido Mezzogiorno,
pieno del vero, del rosato Ippocrene,
con perlate bolle occhieggianti sull'orlo,
e la bocca macchiata di porpora:
ch' io potessi bere, e lasciare il mondo non veduto,
e con te vanire via nella foresta opaca:


Vanir via lontano, dissolvermi, e affatto dimenticare
ciò che tu tra le foglie non hai mai conosciuto,
il languore, la febbre, e l'ansia
qui, dove gli uomini seggono e odon l'un l'altro gemere
dove la paralisi scuote pochi, tristi, ultimi capelli grigi,
dove la giovinezza si fa pallida e spettrale, e muore;
dove pur il pensare è un esser pieni di dolore
e di disperazioni dagli occhI plumbei,
dove la Bellezza non può serbare i suoi occhi luminosi,
o il nuovo Amore struggersi per essi più là di domani.

Via! via! perché io voglio fuggire a te,
non tratto sul carro da Bacco e dai suoi leopardi,
ma sulle invisibili ali della Poesia,
benché l'ottuso cervello confonda e ritardi:
già con te! tenera è la notte,
e forse la Regina Luna è sul suo trono,
con a grappoli intorno tutte le sue Fate stellari;
ma qui non c' è luce alcuna,
fuor di quanta dal cielo con le brezze spira
per verdeggianti tenebre e sinuose vie di muschi.

Io non posso vedere quali fiori siano ai miei piedi,
né che molle incenso penda sulle fronde,
ma, nella profumata oscurità, indovino ogni dolcezza
di cui il mese propizio dota
l'erba, il boschetto,- e il selvaggio albero da frutta;
il biancospino, e la pastorale eglantina;
viole che presto appassiscono ricoperte di foglie;
e la figliuola maggiore del mezzo maggio,
la veniente rosa muscosa, piena di rugiadoso vino,
mormoreggiante dimora delle mosche nelle sere estive..

All'oscuro io ascolto; e ben molte volte
son io stato a mezzo innamorato della confortevole Morte,
l'ho chiamata con soavi nomi in molte meditate rime
perché si portasse nell'aria il mio tranquillo fiato;
ora più che mai sembra delizioso morire,
aver file sulla mezzanotte senza alcun dolore,
mentre tu versi fuori la tua anima intorno
in una tale estasi!
ancora tu canteresti, ed io avrei orecchie invano
al tuo alto requie divenuto una zolla.

Tu non nascesti per la morte, immortale Uccello!
le affannate generazioni non ti calpestano;
la voce ch' io odo in questa fuggevole notte fu udita
in antichi giorni dall' imperatore e dal villano:
forse la stessa canzone che trovò un sentiero
per il triste cuore di Ruth, quando, piena di nostalgia
ella stette in lagrime tra il grano straniero;
la stessa che spesse volte ha
affascinato magiche finestre, aperte sulla schiuma
di perigliosi mari, in fatate terre abbandonate.

Abbandonate! la parola stessa è come una campana
che rintocchi per ritrarmi da te alla mia solitudine!
Addio! la fantasia non può frodare così bene
com'ella ha fama di fare, ingannevole silfo.
Addio! addio! la tua lamentosa antifona svanisce
oltre i prati vicini, sopra la silenziosa corrente,
su per il fianco del colle; ed ora è sepolta profonda
nelle prossime radure della valle:
fu una visione, o un sogno ad occhi aperti?
fuggita è quella musica: son io desto o dormo?


(dal film: Bright Star)





POESIA INGLESE

WYSTAN HUGH AUDEN
(1907 – 1973)


Funeral Blues

Fermate tutti gli orologi
staccate il telefono
fate tacere il cane con un osso succulento.
Chiudete i pianoforti
e tra un rullio smorzato,
portate fuori il feretro.
Si accostino i dolenti.
Incrocino aeroplani, lamentosi, lassù
e scrivano sul cielo il messaggio:
Lui è morto.
Allacciate nastri di crespo
al collo bianco dei piccioni.
I vigili si mettano
guanti di tela nera.
Lui era il mio nord, il mio sud,
il mio est e ovest,
la mia settimana di lavoro
e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte,
la mia lingua, il mio canto.
Pensavo che l’amore fosse eterno
e avevo torto.
Non servono più le stelle,
spegnetele anche tutte,
imballate la luna,
smontate pure il sole,
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco
perché ormai più nulla può giovare.

(dal film "Quattro matrimoni e un funerale")


POESIA POLACCA

WISLAWA SZYMBORSKA
(1923)


Scorcio di secolo

Doveva essere migliore degli altri il nostro XX secolo.
Non farà più in tempo a dimostrarlo,
ha gli anni contati,
il passo malfermo,
il fiato corto.

Sono ormai successe troppe cose
che non dovevano succedere,
e quel che doveva arrivare,
non è arrivato.

Ci si doveva avviare verso la primavera
e la felicità, fra l’altro.

La paura doveva abbandonare i monti e le valli,
la Verità doveva raggiungere la meta
prima della menzogna.

Certe sciagure
non dovevano più accadere,
ad esempio la guerra
e la fame, e così via.

Doveva essere rispettata l’inermità degli inermi,
la fiducia e via dicendo.

Chi voleva gioire del mondo
si trova di fronte a un compito irrealizzabile.

La stupidità non è ridicola.
La saggezza non è allegra.
La speranza
non è più quella giovane ragazza
et caetera, purtroppo.

Dio doveva finalmente credere nell’uomo
buono e forte,
ma il buono e il forte
restano due esseri distinti.

Come vivere? - mi ha scritto qualcuno,
a cui io intendevo fare
la stessa domanda.

Da capo e allo stesso modo di sempre,
come si è visto sopra,
non ci sono domande più pressanti
delle domande ingenue.     

Traduzione di P. Marchesani
(da: Poesia del Novecento in Italia e in Europa - a cura di Edoardo Esposito - Editore Feltrinelli, ottobre 2000)                        

giovedì 14 luglio 2011

POESIA SPAGNOLA

JORGE GUILLEN
(1893-1984)






Presagio

In te si fa profumo anche il destino.
Batte la vita tua non mai vissuta
dentro di me, tic tac di nessun tempo.

Che fa se il sole estraneo non illumina
queste figure da noi non sognate,
create sì, dal nostro doppio orgoglio?

Non conta. Così sono più veraci
che parvenze di luci inverosimili
negli scorci dell’obbligo e del caso.

Tutta tu convertita nel presagio
tuo, ma senza mistero!: un’irrompente
verità di assoluto ti sostiene.

Che fu di quell’enorme e così informe
pullulare di oscuro dal profondo,
sotto le solitudini stellate?

Le stelle insigni di lassù non guardano
la nostra notte che non ha segreti.
Resta tranquillo quel profondo buio.

L’oscura eternità non è già un drago
celeste! Le nostre anime conquistano
non viste una presenza tra le cose.


Traduzione di Eugenio Montale
Poesia n. 200 Dicembre 2005  
Crocetti Editore 2005

giovedì 23 giugno 2011

POESIA ITALIANA

EDOARDO BONCINELLI
(1941)


Un anno di poesie 

Poco più di un anno di poesie
ritmate sui giorni della mia esistenza,
da un giugno al successivo,
attraverso le stagioni e le occasioni,
i canti e i suoni, i tanti volti
di un anno vissuto, senza scosse
o scompigli, nei luoghi usati
del tempo o nei suoi nascondigli. Schizzi
e riflessioni, vale a dire
la vita e il suo doppio, l’immediato
sensibile e il suo possibile
significato, se il significato sta nelle cose
e nella mente: nelle rose,
nei gelsomini e nelle domande sul senso
che rendono grande
anche il più piccolo granello d’incenso.
Ho vissuto aderente
al quotidiano, toccandone con mano
ogni più riposto anfratto
sicuro di aver fatto quello che ci si attendeva
da me. Ho vissuto osservando
tutto quanto come se fosse il primo giorno e tutto
fosse nuovo, ed era nuovo,
mai vissuto prima, intatto, fragrante di mistero,
più vero del vero.
Ho vissuto come so vivere io, vicino a qualcosa
e lontano da qualcos’altro,
insensibile a molte sirene, sensibilissimo a certe
piccole seduzioni, vere
o presunte soluzioni di dilemmi esistenziali.
Ho apprezzato il bello
e il fenomenale osservando con attenzione,
e ho riferito quanto più potevo
alle idee e alle ragioni del mio vivere quaggiù,
senza trascurare i perché,
gli innumerevoli perché che ci riguardano
e che attraversano la vita
come le vene il corpo e portano linfa e sostanza
a quella che non vuole essere
tracotanza, ma una milizia e una missione:
capire per vivere, ma anche
capire per essere vivi, in comunione stretta
con il creato e i suoi dilemmi.
Se ho fallito è per difetto di vigore, non certo
di passione: per me la vita
è una tranquilla devozione, una missione
a futura memoria. La storia
è una successione di giorni. La mia è
una successione di istanti,
sia che ce l’abbia dietro che davanti. Sono
felice di averli respirati
nell’aria del mattino e della sera, d’inverno
e in primavera, quando
tutto crolla o quando la gioia impera.
Ma forse non avevo scelta,
non potevo evitare gli scogli affioranti
o quelli sommersi, diversi
e sempre uguali, strategicamente distribuiti,
occasionalmente insoliti,
che punteggiano la mia esistenza e i flutti
vi incontrano poca resistenza.
Li ho incontrati uno per uno e ne ho fatto
una ricognizione, con il cuore
e la ragione, sempre annotandone la posizione
e il significato nascosto:
in nessun posto ci si può rifugiare. Occorre
affrontare a viso aperto
l’incerto e l’appannato, il palese e il rimpiattato
il celato e lo scoperto.
Ma questo gioco ha anche il suo bello, vi si trovano
gioielli e pietre preziose,
mischiati e confusi tra le cose. Al punto di non saper
più distinguere, e vivere
ogni cosa come magica e a suo modo portentosa.

Edoardo Boncinelli
da "Affaritaliani.it", quotidiano on-line del 23/06/2011
Direttore Angelo Maria Perrino

venerdì 3 giugno 2011

POESIA INGLESE

WENDY COPE
(1945)
 
 
Al Round Pound

Guardi te stessa. Ed anche chi ti guarda.
Uno spettro sul muro del giardino.
Uno è lo spettro e l’altra, sì, sei tu –
sempre che entrambi esistiate davvero.

Che strano esser qualcuno dietro un volto,
avere un nome e sapere che è il tuo,
trovarsi in questo angolo di verde.
Una chiocciola osservi: avanza e sosta.

Tu stai seduta, e ti domandi quieta
fino a quando. Ti muovi? No, rimani.
Ignoto è il tessitore dell’ordito.
Scivola via un minuto dopo l’altro. 
Wendy Cope  
 
Poesia n. 261 Giugno 2011  
Guarire dall’amore 
a cura di Silvio Raffo 
Fondazione Poesia Onlus 2011


giovedì 19 maggio 2011

POESIA TEDESCA

BERTOLT BRECHT
(1898-1956)


Non ho nulla  da dire contro Alessandro

Timut, mi dicono, si prese la briga di conquistare il mondo.
Non comprendo la sua voglia di dominare:
un po’ di liquore, e il mondo è bell’è scordato.
Contro Alessandro non ho nulla da dire.
Solo
certa gente che ho visto, era mirabile,
degna  della vostra grande ammirazione.
I grandi uomini producono sudore.
In tutto questo vedo la prova
che non potevano essere soli
E  bere
e  fumare
eccetera.
E devono essere troppo meschini
perché gli basti
stare con una donna.
Bertolt Brecht
 (da: Poesie inedite e sparse (1013-1933)
(Libera traduzione di Carlo Ermani)

giovedì 12 maggio 2011

POESIA BOSNIACA

IZET SARAJLIC
(1930-2002)

Qualcuno ha suonato?
 
Eravamo rassegnati ormai a non veder venire nessuno
né con la slitta
né con la carrozza del vento,
quand’ecco che ha suonato qualcuno.

Želja con il suo Klaudije?
Čedo?
I Radonić?

Željko non poteva venire.
Sono già tre mesi
che lo punzecchiano con le iniezioni
là in ospedale.

Ivan Ivanović da tempo non viene
benché dica sempre
vengo domani.

Eppure qualcuno ha suonato.
Si è visto bene che anche Puškin nello scaffale
si è rianimato tra i libri.

Forse è qualcuno che ama i giambi?
Forse qualcuno che la sa lunga sulle donne?

Va bene,
ma davanti alla porta non c’era nessuno.

Comunque io scriverò
“Qualcuno ha suonaro”.
Anche i versi sono contenti
quando la gente si incontra.
 
Izet Sarajlic
(Da “Qualcuno ha suonato”, Multimedia edizioni, Baronissi, 2001 e 2009; 
traduzione di Sinan Gudžević e Raffaella Marzano.