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mercoledì 7 ottobre 2009

BIANCAMARIA FRABOTTA
(1946)

5

Se postumo è il nostro dialogo perché ci bastò
una vita soltanto e non
fin oltre l’orto concluso che anche qui le conifere
stagliano e scorciano se sondi troppo le punte?
Immune da ogni esito andrà ancora a capo
la muta insidia del caso
il bacio delle note che ancora ci adesca
il giro delle quinte in cui più vale la finta
che con tantalica mente appaga chi non resiste
e mente e quel neo sulla guancia diventa
il cielo nero di una notte illune. L’ultima
in cui poter dormire. L’unica che imparò a morire.

Biancamaria Frabotta


10

Non più la trepida festa del vento che sciabola rincorse.
Sédati vento. E’ il tempo della posa.
Cheta la tua impaziente opera di limatura.
Lascia che Jole sparga la sua segatura e la lucertola
immota risalga dal fondo d’un ossario marino
dove rosseggia la seppiolina e argentea risplende
la lisca dell’aringa. E se gli ultimi
saranno i primi venga presto la primula
a ultimare le dimenticanze dello scalpellino.
Domani avrò anch’io l’impareggiabile lucentezza del marmo.

Biancamaria Frabotta
(Da: Il vento a Bures,- Parola plurale a cura di Giancarlo Alfano. Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi, Andrea Cortellessa, Massimiliano Manganelli, Raffaella Scarpa, Fabio Zinelli e Paolo Zublema..
Sossella Editore, Roma, 2005)

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