Oggi siamo di
fronte ad una manovalanza estetica che immette nel mercato una poesia
mercificata come pannolini da China Town. Ognuno può scrivere ciò che vuole,
pensare come crede, narcotizzarsi ad ogni occasione, tentare perfino di
scrivere poesie come favolette per i bambini iperpiretici per farli
addormentare. Non c’è più un luogo sociale, esistenziale, storico,
pluriculturale dove connettersi.
Continuare col Novecentismo linguistico è operazione di
enorme spreco, che non ha mai cessato di esistere. Oggi ci troviamo di fronte
ad un concerto demagogico e populistico della poesia; come fenomeno sempre più
diffuso anche nelle diverse categorie generazionali.
E’ evidente che tutto questo non può che decretare la
morte della poesia, incapace di albeggiare altrove. Si rischia di rimanere
nella stagnazione scivolando nella sciatteria, dimenticando la progettualità
considerata eversiva, proprio perché ritenuta un attacco all’establishement
linguistico dimenticando che ci vuole tanto di senso autocritico del proprio
lavoro.
E’ chiaro che in questi termini la critica ufficiale non
può che assentarsi, uniformandosi al culto del replay. Scrive Mario Lunetta in
Poesia italiana oggi, Paperbacks poeti- New Compton Editori- 1981, pag. 17
della Introduzione: che ”Bisogna operare per la professionalità che non è puro
e semplice professionismo, realizzando nel massimo dell’arbitrio il massimo del
rigore, operando insomma per e con una letteratura di poesia che contenga
sempre al suo interno polisenso la consapevole teoria critica del proprio
prodursi”.
Quali siano i frutti di un rinnovamento linguistico non
si sa. Ma intanto è lecito proporli salvaguardando le aspettative di un popolo
in attesa di un nuovo panorama storico e linguistico. Il lettore silenzioso,
che non esprime giudizi, è un critico che si autoesclude da una dialettica
oziosa e ostativa, in attesa di documenti e tempi migliori. Il Novecento ha
indubbiamente il suo peso maggiore senza escludere chi si attiva con le
alternanze linguistiche.
C’è una idea che ci accomuna con la nuova ontologia. Ma
anche questa va proposta nei limiti della persuasione estetica, badando ad
armonizzare il tutto con un impianto pluricostruttivo attraverso i sistemi
collaborativi e interdisciplinari.
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Erika
colleziona black days.
Non
manda lettere agli amici.
Conserva
le parole del signor Wilson
come fossero marenghi d’oro.
-Va
bene anche così-disse Charlotte,
conoscendo
le incrinature di Erika.
In
questo luogo e in questa casa
siamo
rimasti abbastanza con l’ipnotico ideale.
Clelia
si era seduta sul sofà
per
seguire l’occhiolino della luna.
Vedrai
che anche quest’anno verranno i Re Magi
senza
lasciare nulla nelle favelas.
Siamo
qui a percorrere le strade di ieri.
C’è
chi gioca con l’Oblio.
Tu
non balli, non prendi un Dufour, non
pensi
al
clima di Santo Domingo e di Rio Chavòn.
L’uomo
seduto sulla panchina
scambiò
la cicuta per un Black Magic.
Non
è che mi dispiaccia molto, ma anche i Fustemberg
non
hanno gradito L’opera da tre soldi musicata
da Kurt Weil.
Papà
Modian ha rinunciato ai corsi della terza età
per
un habitat ad Arquà Petrarca.
Mitos
riconsidera tutto d’accapo:
la
luce, il buio, “la vita liquida” di
Bauman.
Un
bulldozer rimosse le ossa verniciate di bianco.
Ci
fu chi cercò il killer ad Alexanderplatz.
La
sera ha un gran da fare
nel
chiudere le finestre nel cielo.
Signorina
Klipster si accomodi qui,sono Sigmund,
lei
sa quanti morti si porta dietro Godot?
1 commento:
Ottima riflessione sulla poesia odierna e passata.Se non ci togliamo dalla mente certi ristagni linguistici e culturali, allora è bene tornare a leggere Parronchi, Bertolucci, Sinisgalli, Luzi, Sereni. Gatto ecc., almeno loro la poesia la sapevano fare. (Carlo Gualtieri)
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