(1917-1994)
Foglio di via
Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.
Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.
Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.
Franco Fortini
(da: "Una volta per sempre", Poesie 1938-1973, Foglio di via, Einaudi, 1978)
Suite Danubiana
For Helen (non goethiana)
(Adagio)
Il passero che non piange portando gran peso gran peso in alto
a Palschach
non solleva né la tua anima né la mia
e nemmeno la sua, se i passeri hanno un’anima – e come può
un passero non averla? –
cadono castagne settembrine qua e là nel verde già aureo
delle foglie morte;
ma tu non piangi né la mia né altra sorte
che quella di un destino che cammina
con le zampe di un passero e non vola
o forse vola con un gran peso, un gran peso,
l’anima che s’é accesa sul lago di questo poeta non laghista,
non carinziano, e nemmeno goethiano,
e nei tuoi occhi Elena, di lince nella caverna infuocata dalle
tenebre
lente ustoria che accende torno torno l’orizzonte
fino a un nido, al riparo, ma il più bersagliato dal fuoco
concentrato
di là dal visibile, da riempire di un’anima, ad evidenza,
commestibile
nella sua otticità che s’infuoca e s’accartoccia.
Gran peso, gran peso, ma mai – sulla bilancia – buon peso,
noi ci mangiamo l’anima tranquilli in questa Tagessuppe,
tu lince, io linciato dal tuo sguardo, nell’ora del primo freddo.
Spezialitàt des Hauses, giorni dopo, oggi, a Palais Palfffy.
Ma quest’oggi, il giorno identificato dell’Identità, non finisce
mai,
tra luoghi alterni, pesi alterni (un’altra) un’alterna identità?
Fuori, a Josefsplatz, fa freddo un –freddo cane nel sole –
e noi ci raggomitoliamo su noi stessi e intorno al rocchetto di
questa piazza attorno a cui giriamo
come se ci fosse un centro, per farlo diventare un centro,
o per nascondere un centro, qua e là, con la scusa di trovare
per esempio un negozio d’immagini introvabile
ma forse non è un filo la pista di un luogo da non perdere
o da non trovare
né tu sei un luogo, né io non sfocio in te né mi allontano da te
immaginando
mentre il cervo tenta il balzo – ricordi, ricordi, qui dintorno-
dalla foresta dureriana, segno immutato del mutevole che
non muta
neanche se il passero riesce
sui bordi abbacinanti di uno Stige
tra le oscure foreste a alzarsi in volo,
immagino che si disfa, preda inimmaginabile.
Piero Bigongiari
(da”Moses”, Almanacco dello Specchio n. 5, 1976, a cura di Marco Forti, Mondadori)
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