MARIA do ROSARIO PEDREIRA
Lasciai cadere il tempo sul tuo nome,
come si adagia il marmo sulla terra e
Poesia n. 236 Marzo 2009 Maria do Rosário Pedreira - Tutti i nomi dell’amorea cura di Mirella Abrianie Fernando Pinto do Amaral
De senectude
Non è il mio, questo tempo.
E pur se così mio è questo palpitare di uccelli,
di fuori nel giardino,
la sua profusione in foglie piccole, che mi rimescolano
come intimazioni
non dice più le stesse cose.
Mi sveglio
come chi sente un respirare
osceno. E’ che fa giorno.
Fa un nuovo giorno che non sarò invitato
neppure a un attimo felice. Neppure a un pentimento
che per non essere antico
-ah, Seigneur, donnez moi la force et le courage!-
m’inviti davvero a pentirmi
con qualche avanzo di sincerità.
E nulla temo più delle mie cure.
La vita la ricordo, ma dov’è
Iaime Gil de Biedma
(Traduzione di Mariapia Lamberti da:”Hora de Poesia”, n. 8 (marzo-aprile 1980) Poesia, anno VI, febbraio 1993, n. 59, Crocetti Editore)
ALAIDE FOPPA
(1914-Desaparecida)
Esilio
La mia vita
È un esilio senza ritorno.
Non ebbe casa
la mia errante infanzia perduta,
non ha terra
il mio esilio.
La mia vita navigò
su vascelli di nostalgia.
Vissi sulle rive del mare
guardando l’orizzonte
verso la mia casa sconosciuta
pensavo salpare un giorno
e il presente viaggio
mi lasciò ad altro porto di speranza.
E’ l’amore, forse,
la mia ultima baia?
Oh braccia che mi fecero prigioniera,
senza darmi riparo…
Anche dal crudele abbraccio
volli sfuggire.
Oh braccia fuggitive
che invano cercarono le mie mani….
Incessante fuga
e desiderio incessante
l’amore non è porto sicuro.
E non c’è terra promessa
per la mia speranza.
Alaide Foppa
(Traduzione di Mario Sigfrido Metalli, su “Poetica” anno 1, n. 1 1989, Edisud)
“Alaide Foppa nacque a Barcellona nel 1914 da padre argentino di origine iotaliana e da madre guatemalteca. Alaide fu sequestrata durante uno dei suoi viaggi che faceva per raggiungere il marito sotto la presidenza del generale Lucas, e da quel giorno”desaparecida” senza lasciare traccia.”
FEDERICO GARCIA LORCA
(1898 - 1936)
Compianto d'Ignazio Sànchez Mejìas
IL SANGUE SPARSO
Non voglio vederlo!
Dille alla luna che venga,
Non voglio vedere il sangue
D’Ignazio sopra l’arena
Non voglio vederlo!
La luna di piena luce.
Cavallo di calme nubi,
E stadio grigio del sogno
Con salici sui recinti.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.Avvisate i gelsomini
Di minuscolo candore!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
Passava la triste lingua
Sopra un muso di sangue
Versato sopra l’arena,
Ed i tori di Guisando,
Quasi morte e quasi pietra,
Mugghiaron come due secoli
Stanchi di batter la terra.
No.
Non voglio vederlo!
Pei sedili sale Ignazio,
Tutta la sua morte a spalla.
Andava in cerca dell’alba,
E l’alba non esisteva.
Cerca il suo fermo profilo ,
E il sogno lo disorienta.
Il suo bel corpo cercava
E trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il getto
Che sempre più si spegne,
Quel getto che le tribune
Illumina e si riversa
Sul fustagno e sul cuoio
Della folla sitibonda.
Chi mi grida d’affacciarmi!
Non ditemi di vederlo!
Non si chiusero i suoi occhi
Nelle corna mirando,
Ma le terribili madri
Sollevarono la testa
Come per gli allevamenti
Vento di voci segrete,
Urlanti ai tori celesti,
Mandriani di pallida nebbia.
Non principe di Siviglia
Potrebbe essergli uguale
Né spada come la sua
Né cuore così sincero.
Come un fiume di leoni
Il suo stupendo vigore;
E come un torso di marmo
La sua precisa saggezza
Aura di Roma andalusa
Gli dorava la testa
Dove il suo riso era un nardo
Di sale e d’intelligenza.
Che gran torero in arena!
Che buon montanaro ai monti!
Quanto mite con le spighe!
Quanto duro con gli sproni!
Quanto dolce con la brina!
Che bagliore nella fiera!
Quanto tremendo con l’ultime
Banderillas della tenebra!
Ma ora dorme in eterno.
Ora i licheni e l’erba
Schiudon con dita sicure
Il fiore del suo teschio.
Ed ora il sangue suo muove cantando:
Cantando per maremme e praterie,
Sdrucciolando su corna intirizzite;
Esamine vacilla nella nebbia,
In migliaia di zoccoli inciampando
Come una lunga, oscura, triste lingua,
Per formare una pozza d’agonia
Presso il Guadalquivir del firmamento.
O bianco muro di Spagna!
O nero toro di pena!
O sangue duro d’Ignazio!
O usignuol delle sue vene!
No.
Non voglio vederlo!
Un calice non v’è che lo contenga,
Non vi sono rondinelle che lo bevano,
Non v’è brina di luce che lo geli,
Non di gigli v’è canto né diluvio,
Non cristallo che lo copra d’argento.
No.
Non voglio vederlo!
Federico Carcia Lorca
(Traduzione di O.Macrì, su” La Poesia Italiana Contemporanea” di G. Cavallini e L. MarguatiEditore Bulgarini, 1972)
Adelina a passeggio
Il mare non ha aranci,
e senz’amore è Siviglia.
Bruna, che luce di fuoco.
Prestami il tuo parasole.
Mi farà verde la faccia
-sugo di cedro e limone-
le tue parole –pesciolini-
nuoteranno intorno.
Il mare non ha aranci.
Ahi, amore.
E senz’amore è Siviglia.
Federico Garcia Lorca
(Traduzione di C. Bo, da “La poesia italiana contemporanea” di G. Cavallini e L. Marguati, Editore Bulgarini, 1972)
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