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lunedì 27 ottobre 2008

POESIA FRANCESE
RENE’ CHAR
(1907-1988)



Fogli d’Ipnos

A***

Da tanti anni sei l’amore mio,
il mio capogiro in così lunga attesa,
che nulla può invecchiare, raffreddare;
nemmeno ciò che aspettava la nostra morte,
o lentamente seppe combatterci,
nemmeno ciò che ci è estraneo,
e le mie eclissi e i miei ritorni.

Chiusa come un’imposta di bosso
un’estrema fortuna compatta
è la nostra catena di monti,
lo splendore che ci comprime.

Dico fortuna, o mia martellata;
ciascun di noi può ricevere
la parte di mistero dell’altro
senza spanderne il segreto;
e il dolore che viene d’altrove
trova alfine separazione
nella carne della nostra unità,
trova alfine il suo corso solare
nel cuore della nostra nuvolaglia
che squarcia e ricompone.

Dico fortuna così come sento.
Tu hai alzato la vetta
che la mia attesa dovrà superare
quando domani sparirà.
René Char

223 Vita che non può né vuole piegare la sua vela, vita che
I venti riportano stremata al vischio delle rive, eppure sem-
pre pronta allo slancio oltre l’ebetudine, vita sempre meno
arredata, sempre meno paziente, assegna a me la mia par-
te se tanto è ch’essa esiste, la mia parte giustificata nel de-
stino comune al cui centro la mia singolarità fa spicco ma
serba l’amalgama
René Char

(Traduzione di G. Caproni, “Poesia del Novecento in Italia e in Europa”, a cura di Edoardo Esposito II Volume, Feltrinelli Editore, 2000)


PIERRE REVERDY

(1889-1960)

Si era mossa una bestia
Si udì uno zoccolo raspare il selciato sotto la paglia

Poi un grido

Aspettatevi quello che succederà

Qualcuno accostò l’occhio all’abbaino
e guardò

Era ancora notte ma il pendolo faceva oscillare
Il battente senza suonare le ore e dovemmo aspettare
L’alba per sapere di che si trattava

Gli anni passano veloci nella
mente oscura di un fanciullo

Dopo è solo un ricordo uniforme che si
trasforma

Tuttavia se si guarda
attentamente lo stesso punto
ci accorgiamo che non si è mosso

E’ un gioco di luci
Non vediamo più gli stessi colori
E perfino le orecchie saranno mutate

Che fitta cortina di fumo
Cerca di scostare le tenebre con le dita
e si è lacerato il volto e il cuore

Se avesse incontrato se stesso a certi incroci di strade
La ruota di una vettura di passaggio lo sfiorò e
la giacca rimase sporca di fango fino alla fine

Quanto tempo era passato da quando
Era uscito

Tra gli oggetti c’era un vuoto che avrebbe
voluto colmare e la testa fluttuava dall’uno all’altro

Se avesse voluto il vento
poteva trasportarlo al di sopra degli alberi

E invece tu rimani lì chino sul parapetto
come se aspettassi

La campana suona ma non ci chiama

Le sirene fanno gemere gli ardori
di un altro clima

Un’immagine
Bisogna spezzare tutti i ceppi e partire
con le mani avanti

Al fondo di sé c’é sempre un fanciullo infelice che
piange
Pierre Reverdy
(Traduzione di Antonio Porta da: “Il ladro di talento”, Einaudi Editore, 1972)


GUILLAUME APOLLINAIRE

(1880- 1918)



Il ponte di Mirabeau

Sotto il ponte di Mirabeau scorre la Senna
E i nostri amori
Me Io devo ricordare
La gioia veniva sempre dopo il dolore

Venga la notte suoni l’ora
I giorni se ne vanno io rimango

Le mani nelle mani faccia a faccia restiamo
Mentre sotto
Il ponte delle nostre braccia passa
L’onda stanca degli eterni sguardi

Venga la notte suoni l’ora
I giorni se ne vanno io rimango

Passano i giorni e passano le settimane
Né il tempo passato
Né gli amori ritornano

Sotto il ponte di Mirabeau scorre la Senna
Venga la notte suoni l’ora
I giorni se ne vanno io rimango
Guillaume Apollinaire
(Traduzione di R.Paris)

Da: “La poesia italiana contemporanea”, a cura di G. Cavallini e L. Marguati, Editore Bulgarini, Firenze,1972)

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