Fogli d’Ipnos
A***
Da tanti anni sei l’amore mio,
il mio capogiro in così lunga attesa,
che nulla può invecchiare, raffreddare;
nemmeno ciò che aspettava la nostra morte,
o lentamente seppe combatterci,
nemmeno ciò che ci è estraneo,
e le mie eclissi e i miei ritorni.
Chiusa come un’imposta di bosso
un’estrema fortuna compatta
è la nostra catena di monti,
lo splendore che ci comprime.
Dico fortuna, o mia martellata;
ciascun di noi può ricevere
la parte di mistero dell’altro
senza spanderne il segreto;
e il dolore che viene d’altrove
trova alfine separazione
nella carne della nostra unità,
trova alfine il suo corso solare
nel cuore della nostra nuvolaglia
che squarcia e ricompone.
Dico fortuna così come sento.
Tu hai alzato la vetta
che la mia attesa dovrà superare
quando domani sparirà.
René Char
223 Vita che non può né vuole piegare la sua vela, vita che
I venti riportano stremata al vischio delle rive, eppure sem-
pre pronta allo slancio oltre l’ebetudine, vita sempre meno
arredata, sempre meno paziente, assegna a me la mia par-
te se tanto è ch’essa esiste, la mia parte giustificata nel de-
stino comune al cui centro la mia singolarità fa spicco ma
serba l’amalgama
René Char
(Traduzione di G. Caproni, “Poesia del Novecento in Italia e in Europa”, a cura di Edoardo Esposito II Volume, Feltrinelli Editore, 2000)
PIERRE REVERDY
(1889-1960)
Si era mossa una bestia
Si udì uno zoccolo raspare il selciato sotto la paglia
Poi un grido
Aspettatevi quello che succederà
Qualcuno accostò l’occhio all’abbaino
e guardò
Era ancora notte ma il pendolo faceva oscillare
Il battente senza suonare le ore e dovemmo aspettare
L’alba per sapere di che si trattava
Gli anni passano veloci nella
mente oscura di un fanciullo
Dopo è solo un ricordo uniforme che si
trasforma
Tuttavia se si guarda
attentamente lo stesso punto
ci accorgiamo che non si è mosso
E’ un gioco di luci
Non vediamo più gli stessi colori
E perfino le orecchie saranno mutate
Che fitta cortina di fumo
Cerca di scostare le tenebre con le dita
e si è lacerato il volto e il cuore
Se avesse incontrato se stesso a certi incroci di strade
La ruota di una vettura di passaggio lo sfiorò e
la giacca rimase sporca di fango fino alla fine
Quanto tempo era passato da quando
Era uscito
Tra gli oggetti c’era un vuoto che avrebbe
voluto colmare e la testa fluttuava dall’uno all’altro
Se avesse voluto il vento
poteva trasportarlo al di sopra degli alberi
E invece tu rimani lì chino sul parapetto
come se aspettassi
La campana suona ma non ci chiama
Le sirene fanno gemere gli ardori
di un altro clima
Un’immagine
Bisogna spezzare tutti i ceppi e partire
con le mani avanti
Al fondo di sé c’é sempre un fanciullo infelice che
piange
Pierre Reverdy
(Traduzione di Antonio Porta da: “Il ladro di talento”, Einaudi Editore, 1972)
GUILLAUME APOLLINAIRE
(1880- 1918)
Il ponte di Mirabeau
Sotto il ponte di Mirabeau scorre la Senna
E i nostri amori
Me Io devo ricordare
La gioia veniva sempre dopo il dolore
Venga la notte suoni l’ora
I giorni se ne vanno io rimango
Le mani nelle mani faccia a faccia restiamo
Mentre sotto
Il ponte delle nostre braccia passa
L’onda stanca degli eterni sguardi
Venga la notte suoni l’ora
I giorni se ne vanno io rimango
Passano i giorni e passano le settimane
Né il tempo passato
Né gli amori ritornano
Sotto il ponte di Mirabeau scorre la Senna
Venga la notte suoni l’ora
I giorni se ne vanno io rimango
Guillaume Apollinaire
(Traduzione di R.Paris)
Da: “La poesia italiana contemporanea”, a cura di G. Cavallini e L. Marguati, Editore Bulgarini, Firenze,1972)
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