Cerca nel blog

mercoledì 20 aprile 2011

GENNARO MORRA
  (1922-2002)

DISCORSO AD UNA RONDINE
Ora che il tuo volo greve s’impiglia
nell’aria spenta dai primi venti dell’estate,
ora è tempo che tu migri
verso le aperte pianure di sabbia
oltre i moli irretiti di bandiere
radendo l’immobilità delle statue
che si levano sui poggi e sulle chiese
come i sonnambuli sui tetti.

Ora è tempo che l’ombra dispersa
del tuo volo, cada sulle rive
dove perdi la terra e incontri il mare.

Qui ricordami alla kasba  delle strade
in declivio sdrucite dai passi e dalle voci
di una gente chiassosa, appesa ai balconia
assieme ai panni e alle begonie,
ricordami ai fanciulli dentro i quali si
quietava la festa  di Piazzetta Gagliardi,
al libraio che mi comprava il Lux Christi
ricordami alle sere semibuie di quegli anni
quando l’ombra spezzata sui muri
mi teneva  compagnia per certe strade traverse.

Dimmi che n’è rimasto
di tutte quelle fratte ai Ponti Rossi,
dimmi se ai piedi di un platano
ci siano ancora alcune lacrime di donna.
Ritrovami quel che lasciai nei sogni
di mille e più mattini di sole
svettando col tuo volo ilare su
per le balaustre e le cupole d’asfalto
dove salivo come un fuggiasco inseguito.

Ma se ad altra sponda muovi il volo
incontrerai i giorni che ivi ho perduto
senza speranza, senza pensieri
nella mente disabitata dal presente,
infittita soltanto da un diluvio di ricordi
memorati senza rimpianto.
E qui ricordami alle ossa dissepolte
dei miei cento pallidi compagni
messi in fila dalla morte durante la marcia,
ricordami alle mamme che stanno ancora
scavando i loro ultimi brandelli,
ricordami ai vigneti devastati, ai declivi
dentro i quali riposare era un sogno,
ricordami a tutte le contrade d’Abruzzo
dove la gente ha il sapore
del pane che n’offriva,
ricordami pure alla bionda ragazza
che sulla soglia  di una casa mi parlava
di suicidio come d’un limpido avvenire,
d’una sicura certezza della vita.
Ritrovami l’altana dove dormii
all’addiaccio una notte di settembre,
la siepe dentro la quale aspettai il treno
affaticato da un convoglio di fuggiaschi.
Cosa sognassi  in quell’attesa
lo sanno il riposo dei pastori
e la notte che premeva sui roveti,
forse lo sai tu  che stai  per lasciare
questa diruta grondaia.

O pini che il vento disastra,
conchiglie aperte al respiro del mare
tutti i miei rimpianti vi mando
nella croce che la rondine disegna
col suo volo dischiuso
di fiore nero nel cielo.
Gennaro Morra

(da:Un grido tra le mani. Rebellato Editore, Padova, 1859)

LETTERA
Caro  Velso
qui dove mi esilio
per fuggire ai tramonti improvvisi
ai raggi obliqui senza luce,
agli orizzonti, proibiti
da pareti che mi restringono,
qui la notte viene da lontano
fors’anche dalla tua Brà
o da un altro meraviglioso paese;
qui la notte la portano i buoi
nei neri occhi assonnati
e il gracidare dagli stagni
che non hanno riflessi di stelle.

Ancora qualche muro mi difende
dalla paura che recano
le notti senza annunzi di sere,
eppure ogni volta è un inganno
di ombre dietro alle quali
i prati affondano come il passo
nella mota di certi temporali.
Dove s’ancori il silenzio
non saprei confidarti;
io spoglio mi sento e non tocco
da questi contagi.
Se mi sporgo
l’occhio annega e nel lento cammino
riconduce al tatto ogni cosa smarrita.

Di sotto alla casa
l’asina percuote il selciato
con un ritmo di trance
i cani, stizziti, abbaiano
all’eco dei propri latrati
o al lamento che fanno lontano
gli organetti di Barberia;
nella stanza accanto, in alto
appesi alla parete
stanno il cappello e il bastone
con il quale mio nonno
rimuoveva la terra
alle radici delle piante.
Se volessi scavare
il seme che ho interrato stamane
saprei dove ritrovarlo ad occhi chiusi.
Io qui non vengo a riposare:
mi affaticano le veglie
sul saccone riempito
con le spoglie di granturco
io qui vengo ad incontrarmi
con la notte e faccio barricate
per difendermi dal vuoto
ch’esse portano dietro di sé
finché il canto dei galli
non chiami l’alba sui monti.
Gennaro Morra
(Da: Parole udite domani , Swarz Editore, 1953)


3 commenti:

Mario M. Gabriele ha detto...

Gennaro Morra é stato un protagonista della poesia molisana degli anni 45-50, ospitato da Enrico Falqui nella sua antologia di poeti della quarta generazione, così definiti dal Macrì e cioè Fortini, Zagarrio, Pasolini, Frattini, Scotellaro, Accrocca, Menchini, Di Ruscio e Morsucci. In questi due testi presentati ci sono i segni indelebili di Morra, del suo rapporto con la terra d'origine, attraverso un racconto poetico fatto di sensazioni umbratili, dove il dato sentimentale, figurativo, geografico ed esistenziale, si fonde con il passato caratterizzato da un romanticismo solitario e maudit Mario M. Gabriele

Anonimo ha detto...

bella nella forma e nelle emozioni che suscitano nel lettore un malinconico ricordo della vita fatto di delicatissime corrispondenze metaforiche.

Anonimo ha detto...

Molto bello il secondo testo dal titolo: Lettera. Mi riporta ad un mondo antico, che qui rivive in versi esemplari.