Questa parte
di racconto, viene pubblicata su L'isola dei poeti" ,e fa parte di un
romanzo, in fase di ultimazione, il cui titolo "Neve in ottobre" si
riporta ad un avvenimento realmente accaduto a sette chilometri da Firenze, che
fu al centro delle cronache, per l'inizio di una serie di episodi strani, che
culminarono con la caduta di una sostanza bianca dal cielo, attribuita a un
fenomeno ufo.
Tutti
noi abbiamo avuto un anno che ricordiamo per il resto della nostra vita. Un
anno in cui fatti straordinari, o persone straordinarie hanno cambiato per
sempre le nostre esistenze, come se quei fatti o quelle persone ci aspettassero
al varco, consapevoli di un destino già scritto da qualcun altro.
L’anno
che ha segnato una svolta, non solo nella mia vita, ma anche in quelle di
alcuni uomini e donne di Antella, frazione di Bagno a Ripoli, a 7 km da
Firenze, fu il 1954! Era l’anno in cui esplose il mito di Marlon Brando. Marilyn
Monroe sposò Joe Di Maggio. De Sica lanciò Sofia Loren nel film L’oro
di Napoli. il Presidente Eisenhover pare incontrasse gli alieni in gran
segreto nella base militare di Edwards, e la Fiorentina spadroneggiava in serie
A.
Il 6
maggio, il giorno del mio compleanno, nonna Eliodora mi raccomandò di
presentarmi al Bar Larry Luna alle 4 del
pomeriggio. Mi attendeva la solita festa a sorpresa, per modo di dire, dato, che ogni anno era
identica alla precedente. C’erano proprio tutti.
Dal
bancone, Michele mi sorrideva con i suoi dentoni d’oro e i suoi chili di
troppo, mentre finiva di apporre sulla parete lo striscione: Buon compleanno.
Intanto gli altri, alla spicciolata, cominciavano a farmi gli auguri. Prima,
nonna Eliodora, sempre amorevole nei miei confronti. Poi le sue amiche, Teresa
e Carmela: due signore così gentili, dai corpi esili, ma capaci di abbracci
talmente vigorosi che non potevi fare a meno di chiederti dove trovassero tutta
quella forza; e poi Bill e Tony, compagni di mille avventure, e ancora la Sig.ra Mary con in braccio l’inseparabile
barboncina Blake eyes, ogni giorno sempre più somigliante alla
padrona, Davide innamorato della Monroe e con l’idea fissa di voler essere come
Marlon Brando, infine Mike.
In realtà Mike lo chiamavamo Louis, per la sua
perfetta imitazione del grande Armstrong.
Rimase qui dopo che gli Americani passarono trionfanti per le vie della
Toscana e si innamorò, non ricambiato, di Gina, minuta, ma dal viso grazioso.
Persino Nicola, il brutto, si presentò. Era facile capire perché lo chiamassero
così. Aveva un porro così grande, che non si capiva cosa iniziasse prima, l’escrescenza
o la faccia. Invece. l’unico a mancare,
come ogni anno, era mio padre, così concentrato sul suo lavoro da avvocato che
non aveva tempo per farmi gli auguri. L’unica vera novità era il televisore, il
solo presente in paese. Era un mobile
con incastonato un cinescope circolare. Costò circa 250.000 lire: una cifra
astronomica per l’epoca, se si pensa che una paga di operaio era di circa
40.000 lire al mese. Nessuno sapeva come Michele avesse potuto permettersi un
investimento del genere.
In
effetti si trattava proprio di un investimento, dato che il televisore incentivava la clientela e quindi le
consumazioni. Allora non c’erano i blind
pigs, con marijuana e whisky scozzese, ma camomille allo zenzero e cioccolatini
Perugina. Il locale si trasformava così in una
vera e propria sala cinematografica con ordinate file di sedie per gli
spettatori.
Per la prima volta vi entravano, senza imbarazzo, anche le donne,
che iniziavano a seguire i primi consigli della pubblicità: dal rossetto, al
profumo Paglieri, dalla saponetta Palmolive, allo shampoo e al dentifricio Durbans.
Ecco
perché c’era più gente del previsto alla mia festa a sorpresa. Ma non mi
importava. Era un modo come un altro per stare in compagnia. Il pomeriggio trascorse
all’insegna di divertimento e goliardie,
fino a quando qualcuno entrò nel locale e disse in inglese: “What are
you doing?”Outside are the girls?
Quella frase suscitò ansia e agitazione in tutti i maschi scapoli presenti, che
fecero la fila davanti allo specchio per sistemarsi e apparire più belli, prima
di lasciare il bar.
Non avevo idea di chi giungesse in paese, ma
seguii, come gli altri, il branco affamato, fino in strada. Da un vecchio
autobus scesero alcune donne, scatenando curiosità nell’improvvisato comitato
di benvenuto, prevalentemente maschile. Si aprirono le portiere,
scesero tre signorine dicendo di essere, le governanti del Conte Mineo. In
seguito conobbi i loro nomi in un incontro casuale al bar. Non so perché, ma dopo molti anni, furono le protagoniste principali
in “Le
amiche di Hamlet “e cioè: Laura, Helen
ed Elisabeth, venute dal New England, per un canto d’amore e di morte.
Avevano fascino ed eleganza da vendere, e gli
sguardi ipnotizzati degli uomini, che facevano a gara a chi dovesse portare loro
i bagagli, Avevano occhi di tristezza e di smarrimento. Ma nessuno notò che
dall’autobus stava per scendere una quarta persona. Una giovane ragazza, dai
lunghi capelli castani e dagli occhi verde smeraldo. Bellissima. L’orchidea fra
le orchidee. Si chiamava Linda, era la figlia di Laura. Appena la vidi, il mio
sguardo mutò come quello del branco. Nonna Eliodora mi fece segno di prendere
le valigie e con uno scatto felino, anticipando Francesco e Tony di un soffio,
mi sacrificai a portare quel “pesante fardello”. Sono quei momenti in cui, un
ragazzo comincia a sentirsi uomo, attimi di fierezza e orgoglio che, una frase
fuori luogo di Teresa del tipo: bambino
mio, metti il cappellino! Il sole
picchia, basta a mandarli in frantumi. Avrei voluto sprofondare!
Mia
Nonna le abbracciò, una ad una, come se le conoscesse da una vita. Disse loro
di seguirle alla casa dei pini, circondata da alberi e tavolini. Sembrava un
quadro dipinto a olio da Monet, per quanto era graziosa. La chiamavano la casina dei viaggiatori perché vi andavano ad alloggiare tutti coloro che non
si sarebbero fermati troppo a lungo ad Antella: turisti amanti della campagna o
gente che fuggiva da qualcosa.
All’interno
le pareti erano verniciate a nuovo
per cancellare l’ombra dei quadri a muro. Le stanze erano vuote di arredi, dove
sempre qualcuno lasciava biglietti d’addio e metà della sua vita. Teresa e
Carmela fecero un cenno agli altri e in meno di due ore la casa fu arredata di
mobili e suppellettili. Anche io mi diedi da fare. Fu il compleanno più
faticoso della mia vita, ma ne valse la pena. Vedere la bella Loris, anche lei
venuta in quel giorno alla festa, era la più bella sorpresa.
La
sera, a casa, Nonna Eliodora mi spiegò che le donne erano figlie di uno
scrittore e commediante, amico di famiglia, che aveva trasmesso loro la
passione per Shakespeare e per l’Amleto e che prima di approdare in America,
girava per la Toscana mettendo su spettacoli teatrali. Si augurò che anche le
figlie potessero regalare qualche momento di teatro in paese ma senza fare
business. Si unì a tavola anche mio
padre. Avevo voglia di dirgli che mi era mancato, che cominciavo a sentirmi
grande, ma lui mi aveva insegnato a tenere tutto dentro, lasciandomi solo libri
e qualche consiglio. Così imparai a nascondere le cose per le quali è meglio
tacere.
Amavo
in silenzio Dolly e il suo cane Bubù. Ma come è difficile celare le strade del
cuore! Mi fece gli auguri e mi regalò una tessera della biblioteca comunale di
Firenze da cui avrei potuto arricchire la mia cultura e soddisfare la mia
passione per la letteratura. Non aggiunse altro, regalandomi, prima di partire Spoon River. Più tardi, nella mia camera
ero così preso dalla lettura che non mi
accorsi con ritardo del tono alto di voce fra mia Nonna e mio padre Pur avvicinando l’orecchio alla parete non
riuscii a capire di cosa stessero parlando. L’indomani passai e ripassai
davanti alla casa dei pini con la mia bici, per vedere Candida anche solo un istante, ma non ebbi fortuna. Notai qualcuno
salutarmi dal “Grande vigile”, un
vecchio albero con rami che sembravano braccia impegnate a dirigere il
traffico.
Seduti
ai sedili del Minnesota Club,
Francesco e Tony mi facevano cenno di raggiungerli. Stavano leggendo I Diari con Leucò e le Poesie di disamore di Cesare Pavese. Li
raggiunsi. Sfogliai alcune pagine e mi piacque molto il tono narrativo
dell’autore.
Eravamo
a pochi metri dalla finestra spalancata della camera da letto del secondo
piano, all’interno della quale le donne provavano vestiti. Eravamo sicuri di
non essere visti perché coperti dal fogliame. Ad un tratto vidi anche Candida
con un sottile asciugamano a coprire il suo corpo.
Il cuore cominciò a battermi all’impazzata e
mi coprii gli occhi, ma solo per un istante, perché tornai a sbirciare
furtivamente come quando ci intrufolavamo nel cinema fiorentino, per assistere
senza pagare allo spettacolo proibito. Eh sì, perché quello che stavamo vedendo
era proprio uno spettacolo! Mi esposi maggiormente per vedere meglio, ma
Candida mi vide e mi sorrise.
Proprio in quel momento Tony cadde dall’albero
su paglia e scatole di legno causando un frastuono che destò l’attenzione delle
donne. Come lepri in fuga scendemmo giù. Candida, che si era accorta di noi, si
affacciò alla finestra, rassicurando la madre e le zie. Sono i soliti guardoni,
disse. Le ore pomeridiane passarono lentamente tra i pettegolezzi di Nonna Eliodora
e delle sue amiche, i sogni di Davide di diventare un attore del cinema, e gli
impietosi sberleffi dei ragazzini nei confronti di Nicola, verso cui madre natura
non era stata molto generosa erano diventati il punto centrale del giorno. Il
Brutto era innamorato di una stellina del cinema.
Ebbe
il suo indirizzo. Le scrisse innumerevoli lettere, con la speranza di ricevere
prima o poi una risposta. Risposta che arrivò proprio quel giorno d’estate.
Quando Tony, il figlio del postino, gli
consegnò la lettera, Nicola fece salti di gioia, di una felicità quasi
isterica, come sempre incontrollate erano le sue emozioni. L’avvicinò al naso
per sentire il profumo lasciato dalla sua amata, prima di ritirarsi in casa
come il topo si rifugia nella sua tana dopo aver trovato del formaggio. L’attricetta
non scrisse mai una lettera. I miei amici avevamo architettato una bravata solo
per rompere la monotonia delle giornate. E non fu nemmeno difficile, dato che
Nicola, non brillando nemmeno per intelligenza, non si accorse dell’assenza del
timbro postale sulla lettera. Parole dolci, scritte da una mano femminile, la
sorella di Tony, nostra complice, annunciavano a Nicola un fantomatico
incontro, di lì a pochi giorni, al centro di Firenze, nei pressi del Bar delle
Giubbe Rosse.
Nel
pomeriggio l’afa fu più clemente e ci
offrì una tregua. Un fresco venticello soffiò in paese, venne a bussare alle
nostre porte e ci invitò ad uscire. Adulti e bambini si riversarono per le vie
fuggendo dal torpore dei loro alloggi. Risate, pettegolezzi, giochi
subentrarono alla noia e alla sonnolenza del primo pomeriggio, fino a quando
tutti fecero silenzio nello stesso istante. Ci
meritiamo tutta questa arsura disse il barman mentre consegnava cinque
drink ai palati più fini. Elegante, come a una serata di gala, col suo abito
scuro, con una scatola di cioccolatini nella mano sinistra e un mazzo di gerani
bicolore, rosa e verdi, nell’altra, Mike si dirigeva con passo deciso verso la
casa di Gina.
La
scena si ripeteva ogni dieci del mese,
da quando cioè nel 1950 conobbe Gina e se ne innamorò. Ma la donna, già
sposata, attendeva il ritorno del marito dalla campagna di Russia, e forse già
morto nelle campagne dell’Ucraina. Il corteggiamento la lusingava ma molte
volte lo rifiutò.
Tutti noi assistevamo silenziosi e col fiato
sospeso, speranzosi che in quel rituale cambiasse finalmente qualcosa. La porta si aprì. Mike, col suo forte accento
americano, la invitò ad uscire. Gina, come sempre accettò i fiori, i suoi
preferiti, e lasciando la porta aperta, si allontanò per porli in un vaso.
Tornò dal suo corteggiatore, sorrise mestamente e abbassando lo sguardo disse,,
di non poter accettare altro oltre ai gerani e con voce sottomessa, bisbigliò: Sorry|
Un
furgone sostò davanti la casa del nostro vicino. Il professore Leonard stava
scaricando decine di vasi con fiori e un cartone di libri e di lettere gialle.
Nonna Eliodora mi comandò con lo sguardo e mi precipitai ad aiutarlo. Era in
paese da poco, ma mai nessuno aveva scambiato con lui più di qualche parola.
C’è chi diceva che fosse scostante, chi, avesse segreti da nascondere. La
verità era che non amava parlare di sé. Inconciliabile con la realtà dei paesi
in cui chiunque chiede di sapere tutto di tutti. Mi spiegò che aveva fatto mille lavori, ma di
non essere mai stato un insegnante. Forse era la sua aria distinta, magari il
suo parlare con accento settentrionale o la sua barba grigia ad ingannare la
gente. Mi disse che la cosa più bella dell’essere viandante è che nessuno sa
niente di te ed è questo che rende tutto più interessante.
Mi
confidò che sarebbe rimasto fino a quando gli antellesi avrebbero smesso di
considerarlo un forestiero. Parlammo anche delle nuove arrivate e come due
vecchi compagni di avventura ci ritrovammo a confessare l’un l’altro di avere
un debole per una di loro. Il professore. era affascinato da Elena, che più di
tutte aveva un marcato accento anglosassone.
A me suggerì di farmi avanti con Candida prima
che lo facesse qualcun altro. Dovevo superare la mia proverbiale timidezza, ma
mi serviva un pretesto per farlo. Termiti! Chi l’avrebbe mai detto che gli insetti
più odiati dall’uomo potessero divenire miei alleati! Avevano danneggiato porte
e mobili della casa dei pini. Il professore si era offerto di aiutare le amiche di Hamlet e aveva chiesto a me di
assisterlo. Le donne ci accolsero con sollievo. Dissero come se fossero davanti
al confessionale di Padre Brown: “Da
quando siamo qui, andiamo dove meglio si
brucia la sera e si sopporta tranquille un brandy o un caffè, sicure che da
questo viaggio non ricaveremo un bel niente. Di certo non resteremo dai Beckett, sognando le bianche scogliere delle contee.”
Mentre
Elena mostrò al professore cassetti e scaffali, Laura mi chiese notizie di mio
padre, con un interesse che pareva andare al di là della semplice curiosità. Io
rimasi colpito dalle decine di libri sparsi a terra:: dal manoscritto di Van
High alle quartine di Kaphéis, da Withmann a Burns, da Dante a Shakespeare e
tante storie di spade e cavalieri e cartigli e orationes di chiostri e di
cenobi. Ecco come passavano il tempo quando non uscivano per le strade del
paese.
Avevano la mia stessa passione per i libri. Dissi
a Laura che un giorno avrebbe conservato gelosamente anche una mia opera fra
quei capolavori. Lei, sorridendomi mi rispose di esserne certa. Era la prima persona
a prendermi sul serio. Elisabetta, la
più magra, aprì il diario e lesse ad alta voce come in un reading la Lauda
di San Francesco. Fu interrotta da una visita imprevista. Un marine, Philip
Marley, un bluesman del Cleveland, prima
di tornare in America, finita la guerra, volle lasciare un ricordo alle amiche di Hamlet, e cioè un bossolo di fucile
Winchester: “Non ho altro addosso,
disse, ma ha un valore nel negozio Blue Devil di mister Ray, che da anni raccoglie
memories di bianchi e neri, prima della grande Crisi di Wall Street, salutandoci
con un triste Goodbye.
Poi,
il nuovo mondo che si era appena aperto, cambiò usi e costumi per un po di
tempo.
(Riproduzione
vietata. Tutti i diritti riservati)
3 commenti:
In questo racconto sorprende l’assenza di dialoghi tra i personaggi, ognuno con una propria identità fisica e culturale. Sembra di stare di fronte a soggetti cinematografici di primo e secondo piano. L’ambiente è ben focalizzato. Le occasioni quotidiane e urbane arricchiscono l’iter linguistico che si muove su molteplici occasioni. Si delinea così una situazione ambientale dove l’elemento narrativo ha una sequenza armonizzata da varie vocalità. Ritmi lirici a spezzoni, subentrano isolatamente, in relazione agli accadimenti del tempo, all'interno di un mondo che rivive nella sequenza di tanti flashback, come iconografia a più colori.
Complimenti Mario,
questo è un racconto borgesiano e postmoderno insieme, un vero piccolo capolavoro. Penso che faccia parte di una raccolta di racconti. Perché non li pubblichi?
Caro Giorgio, grazie del tuo prezioso commento. La narrativa, come sai richiede tempi lunghi,rifacimenti continui, mente fresca e massima attenzione. E'la poesia, in questo momento, che mi sta impegnando più del solito. Diamo tempo al tempo, Tutto è possibile.
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