ALBERTO MARIO MORICONI
(1920-2010)
IL CASO ALBERTO MARIO MORICONI
di Mario M. Gabriele
Di tutti i fatti e i misfatti compiuti nella lunga storia
delle omissioni, tra i tanti nomi illustri o pochi noti, ricordiamo Testori,
messo al bando più per la sua fede cristiana che per i suoi scritti, o ancora
Sinisgalli, Bigongiari, Parronchi, Accrocca, Pierro, e quelli dell’area
marxista presenti in La giovane poesia di Enrico Falqui, e i tanti polverizzati
dal tempo, appartenenti alle varie generazioni: la quinta, la sesta, la settima
ecc. tutti desaparecidos abbandonati nelle loro patrie regionali, o
extraoceaniche e ai quali nessuna antologia o storia letteraria, si assumerà
mai il compito di dare onore e giustizia. Qui, tra i tanti esempi ricordiamo
anche Alberto Mario Moriconi, mal tollerato nell’ambiente campano fatto di poeti
bizzosi e individualisti.
Desiderando in questa sede superare il discorso di una
eventuale linea napoletana, che non si addice al Nostro, per ragioni estetiche,
tematiche, psicosoggettive e quant’altro, ci pare giusto collocare Moriconi
(1920) nel diagramma delle voci metasperimentali, di carattere trovadorico,
storico, aedico ecc.
In quest’area Egli si distingue per il vitalismo
linguistico in cui l’ironia e il sarcasmo si associano ad un persistente stato
di verifica dei dati presi in esame e provenienti da un protocollo poetico
storico e contemporaneo, sottoposto a continue indagini e prelazioni di verità.
Da qui l’uso del significante dalle diverse affinità culturali: un vero e
proprio assemblage di tecnica letteraria e di coesione con i ritmi popolari e
giullareschi, fino a trovare le ragioni di una poesia estetica ed etica,
giocosa e malumorosa, che rimettono in gioco i segni del mondo e un pessimismo
esistenziale come nel testo Fortuna del volume Decreto sui duelli, Laterza,
1982, /Caddi io, così; da zero al doppio / zero: versi che ci riportano al
principio delle irreversibili conclusioni riduttive del nostro essere qui e
ora.
Che sia questo un carteggio di un poeta con una visione
umana del mondo, non ci sembra un’ipotesi azzardata, specie se andiamo ad
esaminare il volume Dibattito su amore, Laterza (1969), che è un’appassionata
esposizione di fatti ed eventi di cui il testo La tedesca al bosco calabro ne è
un vivo esempio di speranza e sacrificio: un dilatare del sentimento come
momento di sogno e di fede con ”gli occasionali eroi e le altrettanto
occasionali vittime illustri e umili, innocenti e no, che sono chiamati dal
poeta a testimoniare, o confessare, con lui, su altri punti, le solitudini, le
viltà, le protervie, i furori dell’homo sapiens ormai onnisciente”. (Paolo
Ruffilli Q/G. nn.37-38, luglio-agosto 1977, pag..57).
Su un piano generalmente epico si colloca Un Carico di
mercurio, Laterza (1975); titolo di forte impatto ecologico, che non disdegna
il senso di denuncia contro l’ambiente e il potere visti come soggetti primari
nel testo Le inquinatore,pag.118, dove meglio si concentrano le forme del
degrado. Tutto il volume è un autentico repertorio di occasioni poetiche
millimetrate nella lunghezza della realtà in un procedimento verbale incisivo e
autenticamente originale. Decreto sui duelli, Laterza (1982) è un ulteriore
esempio e riconferma di una scrittura dal ritmo narrativo, dai diversi piani
espressivi caratterizzati da commedia e tragedia, orrori e crudeltà storiche,
con un suggestivo ricordo del sacrificio delle masse nomadi, come risulta nelle
tre sezioni del testo dal titolo Nomadi, pag.7, anche se si tratta di storia
datata, ma mai inattuale e sempre iscritta a futura memoria: ”convennero,
compresse…./ in vagoni / piombati / ad Auschwitz, a Dachau… / Sempre cantarono,
ballarono, incitavano, / fuori delle baracche, i bimbi, / malritti,
scheletrici, / ai balli /, prima che in fumo migrassero al cielo”.
La poesia di Alberto Mario Moriconi può essere paragonata
ad un diagramma supportato da un trend linguistico, che difficilmente trova
assestamenti in basso verso una stasi cronica dell’azione verbale. Del tutto
personale è l’attitudine ad attualizzare gli eventi esterni, attraverso l’uso
reiterato degli attacchi ludico-satirico-epigrammatici, sfocianti nel più
generale senso critico della riflessione morale, larvata o sottintesa. Sue ed
uniche sono le frammentazioni sintattiche per accedere in diversi campi
oggettivi e riportare allo scoperto temi e personaggi, sempre al centro di
situazioni drammatiche in una fitta serie d’interventi stilistici, tra
citazioni e allitterazioni, scambi plurilinguistici e reportages cronachistici,
che vanno a caratterizzare i racconti poetici, correlati alla storia passata e
a quella recente.
Ed è proprio questo il senso degli stili e dei generi
letterari di Moriconi proposti in tutti questi anni, che gli hanno consentito
di duellare con la poesia, con la punta dell’ironia sostanzialmente riflessa
anche nel volume Il dente di Wels, Pironti (1995), che si apre ad una piccola
Commedia umana, come Nella casa del Libro (Lamento a quattro voci), esposta a
rappresentazioni postume, riguardanti il consuntivo della vita del poeta e il
senso dello scrivere versi, il vano scrivere come dice lo stesso Moriconi:
tutto un librosario da sradicare post mortem da parte dei sopravvissuti:“S’io
morrò (Dio non voglia), appena fatto, / voi spianerete le costole /dei miei
libri) ai vostri / muri, dico te, mòglietta, e figli; vi dite: / “Se, appena,
costui sarà….ito / (oh possiamo parlarne senza scrupoli, / mica intendiamo
eliminarlo, mica / l’avremo avvelenato, noi) – ne parlo! – diroccheremo
quest’anomalia, che ci attanaglia / e soffoca, di casa nostra,/ sradicheremo il
librosario / estirpo qui tu estirpa là”, ma è anche un messaggio di arte e
vita, natura e storia, virtù e fortuna, come si legge in quarta di copertina.
Il volume affronta i fatti e i misfatti della Storia, tra
inni goliardici, happening poetici e cronache di delitti eccellenti, che si
vengono a realizzare all’interno di una poesia costituita da elementi
espressivi diversi; gli stessi che troviamo in: Io, Rapagnetta Gabriel e altre
sorti Pironti Editore (1999); assieme ad un piccolo album di ricordi di
scrittori che rispondono ai nomi di Li-Po, Leopardi, Laforgue, Pindaro e
Rimbaud, con l’autore medesimo, che con vario animo, tono e metro, li ricorda e
si ricorda. (Nota editoriale). Esemplificando al massimo i giudizi espressi
dalla critica sull’opera di Moriconi, riportiamo quello di Giuliano Manacorda
apparso su Rinascita del 13 marzo 1970: “Non molti sono in Italia a coltivare,
ad alto livello e come accento normale del proprio poetare, la poesia satirica.
Moriconi lo fa con quel piglio sarcastico, con una tale imprevedibilità di
sortite e una così ricca fusione di temi seri e del loro rovesciamento, da
poter essere considerato forse un caso unico. In realtà, la definizione di
poesia satirica, dice assai imperfettamente nei confronti della sua produzione,
che è cosa assai complessa” .
Sulla poesia di Moriconi si può discutere a lungo circa
l’uso dell’ironia di fronte agli orrori o alle cronache storico-sociali, ma non
si può negare che in merito ad alcuni elementi seri, come per esempio la morte
o l’ingiustizia, o ad altri temi di più ampio interesse, vi sia un forte
sentimento umano che traspare più di quanto si pensi o si legga nei suoi
volumi.
Moriconi ha posizionato la poesia su parametri
linguistici che ci riportano ad un raffinatissimo aggancio con la letteratura
popolare, i cui testi ci inducono a rimarcare un giudizio di Armando Maglione
nella sua relazione sulla poesia a Napoli negli anni Quaranta, quando rileva
già da allora, l’interesse di Moriconi per la realtà sociale, la cronaca e la
storia, che animano quella sorta di “drammaturgia” poetica, moralmente
risentita, e stilisticamente contaminata e trasgressiva che sarà la sua
personalissima cifra confermata nel corso del tempo in tante short stories che
sono libri di vita inseriti autonomamente nel complesso e variegato mondo della
poesia italiana.
Alcuni testi di Alberto Mario Moriconi:
La mosca di Lindbergh
Si sa e si saprà sempre di Charles Lindbergh pilota
della prima trasvolata senza scalo dell’Atlantico:
quello che pochissimi sanno è che egli ebbe
a bordo del fragile monoposto – lo Spirit of St.
Louis – un’importante passeggera: dico una mosca.
La prima clandestina che trasvolò
New
York-Paris, quella cosina,
il comandante se la scoprì, diciotto e quindici,
un bambinone
biondo, una brunettina,
che dal quadrante (mossa da fame?)
dell’altimetro, tutta un tremito
e minutina come è
un dittero,
lo affrontava! (mossa da fame?). Avesse
gridato, lui, e saltava… Gran Dio! Sotto,
le immense lingue e schiume d’azzannìo….
(lei tutto ignorava d’oceani, terrona del Kansas:
la forosetta, del Kansas).
Ma il bambinone
abbozzò,
la ignorò, trasse due sorsi dal termos.
La clandestina s’occultò.
“ E stia..”
il primo “ New York –Paris”
cartone e spago
-come una vecchia valigia –
e spirito di Saint Louis
“ Stia stia, Miss. Due alucce non guastano
in più, di riserva al mono-
plano, al mono-
posto, al mono-
motore: solo bi-
pala l’elica.
E or la brunetta bïala “
rise Charlie, cercandola: “Via via,
Miss, esca. E mi dica,
che, chi a Paris l’aspetta? A chi, beato, sì
graziosa e ardimentosa vola brunetta?”
soffia
soffia sull’acque,
spirito di Saint Louis,
cartone e spago
Or la compagna di Lindbergh dormiva
cinta di stelle, obliosa di tele
di ragno, che forse fuggiva
dal Kansas, da New.
E a lui, l’aquila
giovane, ancora ignara
di ragne, più truci, umane, (1)
un punto
lui solo di sangue e d’anima
sopra i notturni oceani,
ebrïetà
eterëa di stelle e sogni;
e il pulsar dei pistoni, docile faustamente
monotono, oramai
ammalïava, il remeggio fluidissimo,
a un puerile sonno…..
si riscoteva
picchiando a dritta
e a manca l’ala,
o evoluiva libellula
l’aquilotto
e canticchiava un’arietta di favola
western, di carovane.
Ventinov’ore, due sorsi al termos.
Ma pur le palpebre calano, Lindbergh s’assopisce.
Tre, forse cinque, minuti, o dieci, e il velivolo cala,
lenta la cloche, all’acque,
ma dolce cala
spirito di Saint Louis….
Guizzò, ella! via su!…
Rientrò:
lo picchiettò (vellicò) al naso: riaprì
gli occhi lui abbrancò
la cloche.
Digrignò
le schiumose mandibole l’Oceano.
E a dritta dell’aquilotto fiorì
un primo gabbïano,
e altri
e altri,
bianco di sé scriventi in cielo “WELCOME”.
“Ci siamo, darling,ci siamo, baby….
no,
bébé, à Paris. Thanks – no, merci –
amica mia…ma come
ti chiami?… Laggiù! laggiù!
è Le Bourget, bébé !”
Trionfò
la bionda aquila degli oceani.
– Il nome,
però, almeno, della compagna….Sparì. –
Trionfò sonnolento su urla dal buio e su fiaccole:
lei vi sparì.
Chi sa se la mosca del Kansas
trovò chi cercava a Paris.
(da: Il dente di Wels, Pironti, 1995)
(1) Cinque anni dopo patì il rapimento e l’uccisione del
figlioletto.
Fortuna
Gridar “Fortuna! ficca
un chiodo d’oro nella tua ruota” (1)
non potei, non la scorsi
neppure girar la ruota. Quando
godetti l’attimo
– vorticare
vorticare il suono
d’essa non colsi –
lo volli merito
mio: nessuna
bontà del Cielo, sull’idiota
nessun influsso
Cade così l’impero
a uno scettro ebro di sé, derisi
gli astri:
così l’Empire
all’ivre
Empereur, (2) all’impérieux
mépris.
Caddi io così : da zero al doppio
zero.
E ricaddi. E sempre,
col mio sprezzo, nel mio stazzo,
ancor non pago, sguazzo e annaspo credulo
in me, e che sia
virtù una cosa, e uscir dal brago stia
in me:
mai
mi son visto tuo ragazzo,
guercia.
(da: Decreto sui duelli, Laterza, 1982)
(1) Così un personaggio di Lope de Vega.
(2) Napoleone.
Piromani d’agosto
Nell’aria, un pianto…..d’una capinera
che cerca il nido che non troverà.
Zvanìi Pascoli “La quercia caduta”
Evoluivano pazzi fischiavano
intorno ai due alberelli fatti torce
nugoli insupponibili d’uccelli.
Allo sconvolto strido,
accorsi, d’alcuno di loro,
padre o madre a un nido, da ogni dove, al nido
arso e svanito.
Contro i vampanti e i fumanti crepiti uno stridio
crescente, un inaudito ora urlio, una frenetica
musica, una scomposta rabbïosa farandola
di ali e ali, quanti….
I due incendiarii
di più si ritraggono,
ma più eccitati, il perché si domandano
di tanta ressa e ridda ai lor falò: poi, no,
perplessi un po’….”turbati: non sospettano
il nido incenerito”. Che hanno fritto.
“Chi poco cuor sortì cuor non sospetta
in du’ alberelli”. Zitto, Zvanìi, ti prego. Hitchcock,
i tuoi, qui, uccelli i tuoi….!” (*)
(da: Il dente di Wels, Pironti, 1995)
(*) I terribili pennuti del film “The Birds”.
Alberto Mario Moriconi, nato a Terni, il 26 gennaio 1920,
vive a Napoli fin dalla fanciullezza. Penalista, poi docente di letteratura
drammatica all’Accademia di Belle Arti di Napoli, collaboratore letterario di
quotidiani e riviste per “Il Mattino” ha tenuto rubriche culturali. La sua
opera poetica: Vortici, rupi, mammole, Gastaldi, 1952; Trittico fraterno,
Milano, Ceschina, 1955; Anno mille, Padova, Rebellato1958; Le torri mobili,
Parma, Guanda, 1963; Dibattito su amore, Bari, Laterza, 1969; Un carico di
Mercurio, ivi, 1975; Decreto sui duelli, ivi, 1982; Il dente di Wels, Napoli,
Pironti, 1995; Io, Rapagnetta Gabriel e altre sorti, ivi, 1999; Non salvo
Atene, ivi, 2007. Sue poesie sono state tradotte in più lingue.
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