GIOCONDO COLANGELO
(11) Apparso per la prima
volta con delle partiture poetiche inedite nell’antologia Poeti del Molise,
Giocondo Colangelo (1954) ha fatto seguire, dopo la pubblicazione di queste sue
scritture autobiografiche, una plaquette di versi e calembours dal titolo Senza
recita, Casa Molisana del Libro, 1982, che tra neutralità dei vecchi schemi e
alleanza a un dire nuovo, segna sulla carta della quotidianità le tangenziali
dell’esistenza e le cifre del vissuto, tratteggiando il ricordo e il sogno
verso punti di fuga e di morte, secondo suggestioni letterarie ben precise
(Whitman e Rimbaud sono solo alcuni dei poeti presi a riferimento), tra motivi
ora ironici, ora delicatamente memoriali, al di fuori di ogni riconferma e
restaurazione di modelli archetipi senza, tra l’altro, sconfinare nei territori
degli squilibri formali, per lasciare, come dice l’autore, le sue poesie alle
spalle, per perderle e, secondo l’insegnamento di quel prete di un libro di
Borges, Bioy Casares, che insisteva sulla necessità di perdere l’anima per
salvarla, ritrovarle, all’interno del rapporto odio-amore, fino a dilacerare il
tessuto esistenziale e ricucirlo da ogni strappo e ferita, prima della
inevitabile resa o sconfitta.
Quanto alle ulteriori
prove o verifiche, a livello di consistenza, di cui parlava Pasquale De Lisio,
recensendo Senza recita su Proposte molisane 82/1, pag, 197, non crediamo che
esse debbano costituire delle condizioni essenziali per riconfermare giudizi e
chiavi di lettura. Senza recita resta, al di là delle (im)probabili sortite
poetiche dell’autore, un momento altro o a sé di quel fervore letterario, come
esperienza parallela degli avvenimenti culturali prodotti negli anni
Settanta-Ottanta.
Con molta probabilità il
documento poetico di Colangelo sta a indicare il rifiuto di una Forma declamata
e artefatta, ovvero, la negazione al bel canto e allo stile delle cifre di
Cocteau.
Senza recita propone nella
sua struttura, momenti di vita vissuti nel silenzio e nella emarginazione, nel
quadro delle varie esperienze fatte dall’autore. Da qui l’uso di una parola
poetica che rifiuta il ninnolo tradizionale, l’idillio e l’arabesco, e che pure
sta a dimostrare e a indicare una delle tante strade percorse dalla poesia nel
conflitto dei segni e dei significati.
DEDICATO A UN PURO AMICO
IMMAGINARIO
Ci siamo cacciati in un
brutto pasticcio Fred,
non vedo come faremo a
venirne fuori!
Queste ombre sanguinolente
non ci mollano più,
il capezzale di morte è lì
sul nostro cammino,
alla foce del fiume ci
attendono, non ci andremo!
Ti dedico questi granuli
di sabbia,
sabbia del deserto,
deserto della mia stanza,
mentre fuori mille
cervelli
stanno esplodendo in
orgasmi di utopie,
domatori inferociti
divorano i leoni,
(moro in facoltà fa
l’occhietto al collettivo),
hare krishna infangato da
calessi in corsa
piange sul ciglio della
strada,
James Joyce urla nella
tomba:Rivoglio le mie lettere,
Monsieur Bernard
applaudito al comitato
rimpiange vecchie glorie,
“have a good time, baby”
lanciato nello spazio
rientra dall’uscita
d’emergenza,
“lascia andare le parole”
sussurrato all’orecchio,
non ho molto tempo vuole
dire.
Quest’ultima visione,
non mi rimane altro prima
di partire.
Una stanza illuminata,
Mary col suo adolescente
nudo sulle ginocchia,
“altri quindici giorni e
poi sono fuori”,
un vecchio cortile
circondato d’aiuole,
ci siamo lui io e tanti
altri,
Mary col broncio perché si
ride di lei;
-cento anni per capire che
la chiave delle Illuminazioni
era lì, dietro la porta -.
Lui in divisa, intossicato
di vita, sorride all’amico,
gli promette bevendo un
lunghissimo spleen.
(Genzano 27.2.76)
Stanotte son di guardia
alle stelle,
la luna non c’è,
se la son pappata rabbiosi
sergenti.
Il gatto nel cortile
gioca a rincorrere il
coniglio,
mentre l’uccellino
incollato
sta morendo sul
muraglione.
Stanotte son di guardia
alla luna,
le stelle non ci sono,
se la son pappata rabbiosi
sergenti.
In una simile notte
senza lucciole
dev’esser morto Esenin,
in una simile notte
sul muraglione scuro
il mio passerotto muore.
Ufficiale di picchetto
chiudi bene
il cancello stanotte,
non lasciar passare i
ricordi.
*
Ospemiles di Firenze
ad attendermi tutti
burloni fiorentini.
il primo accenno a
Ciapaqua
e i libri di Burroughs
nella borsa.
Gli amici mi venivano a
trovare.
Nicola mi portò
l’assassino,
ne fumammo insieme
e ridemmo di Mary.
Vecchia Olanda nella
mente.
Mary era sempre lì
col suo adolescente nudo
sulle ginocchia.
La notte copulavamo
felici.
Telecuore con esofago
barrierato
dette esito negativo
e glicemia e azotemia
erano solo una scusa per
succhiarmi del sangue.
Bronchite catarrosa
subacuta
fu la carta vincente.
Con i miei quattordici
giorni di convalescenza
nel taschino della giacca
salutai gli amici burloni
e Firenze,
Nicola dietro il bancone e
Mary.
“Altri quindi giorni e poi
sono fuori”
furono le sue ultime
parole.
Finalmente novembre,
sono quasi alla Fine.
-Bisogna aver rispetto
per tutto ciò che finisce
-
Il mese è dedicato ai
morti,
anche a te Pier Paolo
ucciso dalla tua
sessualità.
Me l’ha detto quest’oggi
la mia radiolina,
è successo dalle parti di
Ostia,
e pensavo che solo a
gennaio
stavo in biblioteca,
seduto, a parlare di te.
“ Non ho paura della
morte, ne avevo
solo da ragazzo” allora
dicevi.
E Cimo che continuava a
ripetermi:
“ Deve essere proprio un
intellettuale pazzo”.
“Era un trasgressore di
tutti i codici”
scriverà di te un tuo
amico.
Ora quest’Italia furfante
si è persino dimenticata
di te,
che facevi tanto per
scuoterla.
Ma non temere l’oblio,
i poeti vivranno in
eterno,
e tu certo, non eri da
meno..
*
Me chi mi ama? Dannazione!
Rinchiuso fin
dall’infanzia in galere scolastiche
ad affogare il cervello
nella noia
tamburellando
masturbazioni
rincorrendo la vita,
irragiungibile.
Sogno di essere felice ma
non lo sono.
Me chi mi ama?
Trobar clus nella notte
buia.
Lucio nella latrina di
servizio a salmodiare poesia.
Dopo la sua partenza per
Lucca non mi ha più salutato.
Ed ora…un cranio pieno di
libri,
senza valore ormai.
Nei sogni pieni di incubi
possono riviverli, se voglio.
Fantastiche storie
dell’Aldilà.
Me chi mi ama?
Solo il gatto Manoski.
Quando ha fame.
A chi mai confessarlo?
Il mio pensiero —
precursore del vento —
mia sola dama di
compagnia,
Sto vivendo nella mia
mente.
Questo (ed altro)
aspettando l’autobus
In un frizzante mattino
autunnale,
a Roma.
A M.
Chi ucciderai ancora? Chi
porterai alle stelle?
Che altre menzogne inventerai?
(Osip Mandelstam)
FIGHT ON
RITMO è la percussione
di questo pezzo di Peter
Tosh
un reggae arrangiato
da musici e pittori
fiamminghi del Cinquecento
Lacrima è quella che non
hai versato
per me
Drogato è il ricordo
delle estenuanti attese
dagli addii di sasso
dalla tua lacrima non
versata
ma non questo ritmo
oh come vorrei essere io
l’alchimista
e a notte tarda dopo la
serata
rincasare verso la mia
donna di colore
io il giamaicano
l’arabo che languisce nel
metrò parigino
il vecchio alcolizzato con
l’armonica
che ogni sera suona alla
Station olandese
giocondo colangelo figlio
di Michelangelo
murato in queste quattro
(mila) mura di libri
che se scrive una canzone
per domani
è solo per ritrovare il
fanciullo che era ieri.
Quanto al ”Taccuino del
sognatore ” accluso a “Senza recita “, qualche tavola di lettura riteniamo di
doverla recuperare, anche a costo di trasgredire sul piano metodologico, ma è
un peccato veniale che vale la pena di commettere. In altri termini si vuole riportare
in superficie da “Le impressioni parigine” tutto “ l’humus poetico” e il “
sentimento critico “ del poeta in relazione alla sua visita al Louvre e alla
chiesa di Notre-Dame di Parigi , In effetti opera anche qui un vagabondaggio
culturale sul mondo esterno, con una minuziosa descrizione sui fatti e gli
avvenimenti che si presentano durante il giorno nella cosmopolita Parigi
popolata di ambulanti e giocolieri, di colonie di arabi e di venditori di
quadri e oppio, di clochard e di miserie grandi e piccole che si consumano
all’ombra delle rues e delle bidonvilles:
da : “ IMPRESSIONI
PARIGINE “
TUTTI VOGLIONO VEDERE
Tutti vogliono vedere .
Alla chiesa di Notre-Dame la gente si accalca per vedere il Tesoro. L’ingresso
è di tre franchi. Per gli studenti niente riduzione. Ai due lati della chiesa,
dentro la basilica del Sacrè-Coeur si vendono i ricordini. Piccole dosi di
religione da riportare a casa, agli amici. La chiesa di Cristo è trasformata in
un mercato. Turisti dappertutto, i giapponesi con le macchine fotografiche
perfino nelle orecchie. Fotografano Cristo. Una vecchina domanda a un
sacerdote, nel suo strano dialetto spagnolo dove vendono dei crocifissi
“Comment ?” è la risposta. La vecchina insiste:” por comprar de los crucifijos,
por comprar Jesucristo “. Il prete capisce, sorride. Glielo indica. Questo
secolo consumistico ha trovato il sistema di commercializzare pure Cristo. Lo
si vende, si compra, si paga per guardarlo. Ce n’è per tutti i gusti. Il Cristo
per i poveri, di pochi franchi, e il Cristo per i ricchi. Una massa di venduti
che vendono. Ma , a parte il mercato, la basilica del Sacrè-Coeur ti colpisce
per la grandiosità della rappresentazione religiosa. Entrando, di fronte a te,
in alto, un Cristo immenso con le braccia allargate ti domina. Ai suoi lati,
papi, santi. Sono molto piccoli rispetto a Lui. Però sempre più grandi di altri
personaggi che seguono. L’autore di questa rappresentazione ha voluto creare
una scala di valori nella gerarchia religiosa. L’ordine d’importanza nella gerarchia
è dato dalla grandezza. Rappresentazione alquanto banale, ma efficiente. Si è
dominati da questo Cristo immenso. In questa chiesa l’uomo non esiste. La prima
volta che vi entrai stavano celebrando una messa. Il prete all’omelia dava
l’idea di voler fare un discorso politico. Parlava con lo stesso ritmo e timbro
di voce con cui si fanno i comizi. La politica in chiesa? Non c’è da stupirsi.
Durante le guerre i francesi, popolo di nazionalisti, si radunavano in chiesa
per pregare. Finite le guerre eccoli di nuovo in chiesa per “ celebrare “ la
vittoria. Amen.
Barboni nella
metropolitana, agli angoli delle strade, sdraiati nei giardini pubblici. Sembra
la città dei pezzenti, Parigi. Puzzano d’alcool lontano un miglio, puzzano di
morte. Tanti arabi. Vengono dalle ex - colonie. Fanno i lavori più umili.
Uomini delle pulizie nel mètrò. Non vedono mai la luce. L’altro giorno al
Jardin des plantes un arabo sdraiato su una panchina, solo. Triste, già morto.
Consumava così le sue ore, i suoi giorni, i suoi anni. Sarebbe venuta voglia di
andargli incontro, abbracciarlo. “Fratello, non lasciarti morire! Ritorna nella
tua terra, sii felice”. Non l’ho fatto. Come potevo.. Sono andato via. E’
rimasto come l’avevo trovato. Un pezzo di Marocco venuto a morire in terra straniera,
in terra francese.
Niente. E’ proprio vero,
hanno trasformato le loro chiese, i francesi, in mercato. Mercoledì 22 agosto
alle venti e trenta concerto per organo di Lionel Rogg. Prezzo quindi franchi.
Portano Bach in chiesa e lo vendono, loro. Proprio come Cristo. Non c’è che
dire. Mi sono imbucato. Non c’è che dire. Giorni fa per farmi i capelli, senza
shampoo, nella lontana periferia, in un umilissimo coiffeur, 33 franchi ha
voluto, lui, il barbiere. Trentatrè franchi, che equivalgono a seimilatrecentosessantanove
dannate lire. Niente. E allora mi sono imbucato in chiesa. Bisogna rubare ai
ladri, è l’unico sistema per sopravvivere, in un posto di ladri.
Esco dallo Studio Saint -
Sèverin dopo aver visto per l’ottava volta il film - concerto di Bob Marley,
quello del giugno 77 al Raimbow. Ho fumato nella toilette del cinema con due
ragazzi arabi di Algeri. Prendo Rue Saint- Saint-Sèverin e taglio per Rue de la
Harpe così sono subito a Boulevard St. Germain. Sono le venti circa. E’ l’ora
in cui cominciano ad affluire sul boulevard i venditori ambulanti di oggetti
fatti a mano, braccialetti, collanine, orecchini. Arrivano anche i venditori di
quadri, di posters e i suonatori ambulanti, o occasionali, che cercano di
svoltare la serata. Ogni sera così. Davanti alla chiesa St. Germain - des -
Prés il circo. Il lanciatore di fiamme, il mimo, gli acrobati, il prestigiatore
e l’uomo delle catene. E’ un ragazzo biondo ,quello. L’ho osservato per alcune
sere. Sempre la stessa scena. Ogni sera. Si fa legare dai passanti una lunga
catena di ferro intorno al corpo. La fa incastrare con due lucchetti e dopo
dieci minuti, con le contorsioni del corpo, riesce a sfilarsela. La gente
applaude. Poi è la volta dei vetri rotti. Vi si sdraia sopra con la schiena e
si fa salire sul corpo dieci persone. Voilà. Il gioco è fatto. Nemmeno un
taglio. Altri applausi. E’ infine la volta delle fiamme. La gente è contenta.
Finito il numero passa con un cappello tra il pubblico, sono generosi. Lui
ringrazia per ogni monetina che riceve. Dopo il tin metallico china la testa e
cinguetta un merci. Se ne va. Anch’io. Faccio la rue de Rennes. All’angolo,
davanti alla farmacia, i soliti invertiti. Sono ragazzi, si baciano e
abbracciano tra di loro, per provocare i passanti. Ci sono anche lesbiche. Per
strada sono come cullato dalla musica. Cammino come in un sogno di Dalì.
Timothy Leary dice che è l’unico pittore dell’LS.D., senza L.S.D.. Sono solo e
felice.Una volta tanto. E’ per via del fumo. Tutt’intorno è un luccicare di
colori. Le macchine sfrecciano, superbamente. Le sento amiche. Sono arrivato in
un attimo, in albergo. La musica si dissolve in ascensore, come in un sogno. Il
Raimbow, Bob Marley, scomparsi. Però ogni tanto qualche nota ritorna. Mi
aspettano ora il vino e il formaggio. Anche una pesca. E’ da ‘ sta mattina che
non mangio. Sono fortunato. In Giamaica hanno qualcosa come meno di niente.
L’ho visto al cinema. Solo la musica e tanto sole. Il resto è miseria.
Bidonvilles.
Per ora basta. Spegnerò la
luce su questo giorno. Leggerò Céline prima. Forse.
Volevo vendere due libri
ai bouquinistes. Un totale di novantadue franchi. Non l’ho fatto. Volevano
darmi massimo venticinque franchi, per i due libri, quei rabbini. Volevano
speculare sulla mia miseria. In parole povere truffarmi. Quei ladri. Il furto legale
è più schifoso di quello illegale. Ha le spalle coperte. Al sicuro.
L’ho scrutati subito, in
fondo all’anima. Hanno pensato: “Ha bisogno di soldi, lo prenderemo alla gola“.
Ma io non glieli ho dati. Ho intuito il gioco. Me ne sono andato. Prima li ho esaminati
bene, però. Sono una marea di persone anziane, tra cui una buona metà ha
superato l’età della pensione. Pochissimi giovani. La gran parte è composta di
vecchie che non hanno alcuna intenzione di mollare. Se ne potrebbero stare
tranquille in pensione, ma non lo fanno. Se ne stanno lì a farfugliare prezzi,
a vendere cartoline sbiadite dal tempo e libri scritti da fantasmi. La morte le
coglierà sul lungosenna, aggrappate all’ultimo franco, all’ultimo respiro. Una
prece. Che tristezza. Nessuna mi ama. Sono piombato in un abisso di solitudine.
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