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sabato 3 ottobre 2009

LEONARDO SINISGALLI
(1908-1981)


PASQUA 1952


Le sere d’aprile son fredde e tristi
quaggiù nei cameroni di casa mia.
Mio padre si muove appena tra il focolare
e la latrina. Lo portiamo a braccia, lo svestiamo
gli sciogliamo le scarpe per farlo dormire.

Le pendici del Serino sono ancora bianche di neve.
Ci siamo tappati nelle stanze, a stento
ci arrivano dalla piazza i rintocchi dell’orologio
Il fumo ci arrossa gli occhi,
è umida di bosco la legna mortacina.

Cristo risorgerà dal sepolcro di iris,
i messaggeri ce l’hanno annunziato
bussando alle imposte.
I piccoli pastori ci portano i primi
asparagi dalle spinete, l’ortolana
scalza è entrata con un cesto di fiori di rape.

Aspettavo da trent’anni una Pasqua
tra i fossi, il muschio sopra i sassi,
le viole tra le tegole. Ma i morti
dormono nelle bare di castagno,
sugli archi delle stalle e dei porcili,
sulle crociere delle cantine e dei pollai.
Fanno fatica ad abbandonare per sempre
le nostre sedie, i nostri letti,
dove vissero tanti anni di lenta agonia.

Lungo le strade gli stracci
neri delle vesti sono più silenziosi.
Un gruppo d’uomini brucia col ferro
il grumo di veleno nella bocca dell’asino.

M’ero messo in viaggio verso una Pasqua
in fiore, incontro al Cristo purpureo
che solleva il coperchio di grano bianco
cresciuto nelle grotte.

Tutto quello che io so non mi giova
a cancellare tutto quello che ho visto.
I fanciulli soffiano sul carbone
perché dal piombo fiorisca
il simulacro della rosa.
Vanno e vengono per casa le visitatri
cia portarci i sarmenti per il fuoco,
le ceste d’uova, le parole di cordoglio.

C’è sempre nelle stanze il ricordo
di un lutto recente o il gemito
di un vecchio malato.
Mio padre ha il sangue greve.
Si duole della sua immobilità.
Lo caricheranno sulle spalle i miei nipoti
e un giorno, un tiepido giorno di là da venire
lo porteranno alla vigna. Lo porteranno
a mezza costa, sulla sedia
di braccia intrecciate.

Ci è toccata questa valle, questa valle
abbiamo scelta per tornarci a morire.
Dove Gesù risorgerà con molta pena
noi speriamo ardentemente di sopravvivere
nel cuore dei congiunti e dei compagni,
nel ricordo dei vicini di casa e di campo.

Come fischiano le rondini
intorno alla chiesa di San Domenico
semibuia il giovedì delle tenebre!


Leonardo Sinisgalli
(da: LucaniArt.Magazine)

1 commento:

Anonimo ha detto...

la poesia è prima di tutto luoghi spazi come i sogni