Cerca nel blog

martedì 28 ottobre 2008

POESIA RUSSA
DIMITRIJ GRIGOR’EV
(1960-1996)



La sedicesima linea


Sulla sedicesima linea c’è
un grossista, del vino mediocre
vendono birra, riparano pneumatici
sulla sedicesima linea
da tempo
è primavera
io so le linee non s’incontrano
e la sedicesima è solo una
essa
nel mio libriccino
è tracciata a mano
ecco Smolenka, la Neva
il resto
non importa
una traccia del dito o del fiume
l’inchiostro si è spalmato
le parole vicine
non si leggono più

sulla sedicesima linea
giri con una bicicletta
azzurra come il cielo estivo
accanto a uno con il cane
accanto ai gatti primaverili
impalato come un albero
chiedo aspetta un pochino
Dimitrij Grigor’ev

(Traduzione di Paolo Galvagni, “Poesia”, anno XV, Gennaio 2002 n. 157, Crocetti Editore)




PERESTROJKA POESIA
MICHAIL N. AJZENBERG
(1948)


Grida da lontano. Il deserto della stazione.
Che la vista almeno non risusciti la speranza in un mutamento
di quella noia che riecheggia. Più forte, ancora più forte
lo schiamazzo per strada. Il trepestio sulla scala.
I topi si gettano
lesti fra le gambe – foglie, brandelli –
come una tribù assatanata.
Il sale (ancora più salato)
a fiocchi sulle pareti. Calchi rigati dall’acqua
di un mare torbido. Berretti di pelo,
cappelli neri galleggiano sulle onde.
Un firmamento d’aria muffita
Densa di fumo.

Se sono la noia o la morte
ad essere disegnate così
non è certo un piacere
ma una brutta copia, uno stenogramma….
La polvere ha preso a danzare
ai crocicchi delle corde volanti,
nell’arcata vuota.
Michail N. Ajzenberg
(da: Pjattyi Sbornik (1982) – Quinta raccolta -


(Traduzione di Gario Zappi, su “Poetica”, anno 1, n. 1, 1989, Edisud)



ANDREJ SINJAVSKIJ


(1925-1997)





1

Mi restano da vivere
Solo quattordici ore.
Cammino per la cella,
Vado avanti e indietro.

Ed ecco nascere dal buio
La mia diletta.
La blusa tutta insanguinata,
E un fetore di sangue.
Dimmi, che cosa è successo?

Presto, prima che ti diano la caccia:
Son venuta a prenderti!
Fuori ci aspettano i cavalli
E un’azzurra penombra.

2

Aveva diciottanni. A tutti diceva di no.
Invano i ragazzi s’innamoravano di lei.
Non donava un sorriso, non amava nessuno,
E guardava sempre tutti con disprezzo.

(E così, a forza di guardare…)

Ma una volta, a un ballo, con passi misurati,
Le si accostò un ragazzo vestito come si deve,
Un tipo superstizioso del mondo della mala,
Le fece un inchino e la trascinò in un tango.

E la bella Nina, la figlia del procuratore,
Cadde completamente in sua balia;
Coi suoi occhi esperti il ladro la studiava
Senza abbassar lo sguardo come un asso di briscola.

Che fuoco s’era acceso, e che dolcezza!
Giacché l’amore del ladro è breve, ma intenso.
Non vuole niente, non desidera niente,
Solo il corpo della bella, solo un po’ di vodka.

Ma la sorte del bandito è rapida a mutare:
Ora in prigione, ora libero, ora in un lager….
E un bel martedì il nostro superstizioso
Si fece beccare alla stazione, e con lui la ragazza.

Ecco alla tavola rossa, nella sala fumosa,
Beve acqua il procuratore, un bicchiere dopo l’altro.
E sulla nera panca sta sua figlia Nina
E con lei un furfante mai visto prima.

Se ne andò via in silenzio, altera come sempre;
Quando il bandito chiese di salutare sua moglie,
E le loro labbra si fusero in un unico bacio,
Solo il padre-procuratore aveva una lacrima agli occhi
Andrej Sinjavskij

(Traduzione dal russo di Riccardo Gluckner, da “Una voce dal coro” , Garzanti, 1973)


ARSENIJ TARKOVSKIJ

(1907 - 1989)



Destinato ad uno solo, come camera
d’albergo – con una sola finestra, un solo
letto e un solo tavolo, vivevo
nel mondo e la mia anima
si era ambientata al corpo mio. Così avveniva:
guardava alla finestra, rimaneva a letto,
si sedeva sul tavolo . la penna faceva scricchiolare,
creando il suo semplice lavoro.

E dietro la finestra andavano i cittadini,
i camion strombazzavano la pioggia strepitava,
fischiava la polizia,
sorgeva il sole, arrivava il giorno,
sorgevano le stelle, arrivava la notte,
e il cielo ora schiariva ora imbruniva.

E la città ho amato come un forestiero,
ed ero pieno di impressioni felici,
e il nuovo amavo per la novità,
il quotidiano per la quotidianità,
e come questo mondo a quattro dimensioni,
non mi è rimast6o altro che il futuro.

Ma è terminata la mia solitudine
nella camera mia da quindici rubli
si è stabilito un altro pigionante solo,
e una nuova anima ha iniziato a riprodursi,
come cromosoma nel vetrino.
Afflitto nel mio spazio troppo stretto
pure mi facevo largo, come anche la città
sorgeva da borgate accatastate.

Io
un ponte ho gettato sul piccolo fiume.
A me
mancavano operai. Abbiamo impolverato
col cemento, rombato coi mattoni
la pelle collinosa della terra,
scorticato fino all’osso coi bulldozer.

Lode a colui che ha perso se stesso!
Lode a te, mia vita, privata di vita!
Lode a te, benedetto tensore,
lode a te, lingua d’altri tempi!
Passano cent’anni e non la comprendiamo più,
l’ho davanti nello Slovo d’Igor,
m’inchino a te, vinto dai tartari:
siamo mille sulla riva del Kajal,
la lancia è confitta sull’erba,
e sulla lancia
l’aquila della steppa monda le piume canute.

Arsenij Tarkowskij
(Traduzione di Amedeo Anelli e Stefania Sini da “La steppa” Edizioni Via del vento”1998)

Nessun commento: